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Una patrimoniale intelligente

In Italia la patrimoniale c’è già e si chiama crisi. La crisi sta intaccando i grossi patrimoni: depaupera il valore delle case e riduce in maniera considerevole il valore dei titoli in borsa. Purtroppo questa “patrimoniale” non produce benefici per nessuno. Forse per questo moltissimi industriali ( tra cui Marcegaglia, Montezemolo, Della Valle) sono favorevoli a un’imposta patrimoniale solidale e intelligente, come quella proposta da Pietro Modiano, presidente di Nomisma. Partendo dall’assunto che il 20% della popolazione italiana detiene circa 5000 miliardi di euro (mentre il restante 80% detiene 3000 miliardi di euro) Modiano propone una tantum che tassi del 10% il patrimonio finanziario o del 4% il patrimonio generale (mobiliare e immobiliare) solo per quel 20% di popolazione più ricca. I benefici immediati sarebbero dati da un introito di circa 200 miliardi di euro, che abbatterebbe il debito pubblico in maniera sostanziosa e libererebbe risorse per il welfare e per la crescita. L’imposta colpirebbe è vero chi ha “risparmiato” di più, ma attraverso un meccanismo di detrazione fiscale l’imposta colpirebbe davvero solo chi ha costruito quel patrimonio con l’evasione. A me sembra un’ipotesi da tenere in considerazione. E sinceramente credevo che Mario Monti si riferisse a misure del genere quando ha parlato di “crescita e equità”. Qui un bel confronto (televisivo), a partire dal minuto ‘45:  http://youtu.be/0jJfM0fjdnE.

È morto Ilya Zhitomirskiy

Stamattina ho appreso una notizia davvero molto triste: all’età di 22 anni è morto Ilya Zhitomirskiy, uno dei quattro fondatori di DIASPORA, il social network “etico”.  Con lui vanno via l’entusiasmo, la sincerità, l’idealismo di un ragazzo che aveva deciso di mettere al servizio degli altri la sua competenza e il suo talento.

Dovremmo impegnarci con più convinzione nella promozione di DIASPORA, sperando che la sua creatura possa ottenere il successo che merita e possa contribuire ad avvicinare gli essere umani (in maniera onesta e trasparente).

Nel video i quattro (Ilya è il secondo la sinistra) spiegano il loro progetto: il sogno di un social network controllato “personalmente” e distribuito “open source”.

Democrazia, l’ultima utopia

“Per proteggere la loro unione monetaria i politici europei preferiscono la sospensione della politica, come accade frequentemente in Grecia e in Italia, e la sua sostituzione con la competenza di tecnici non provenienti dai partiti.  Le politiche governative saranno monitorate – se non guidate, in questa prima fase – da Bruxelles e Francoforte, il quartier generale della Banca Centrale Europea, e saranno implementate da tecnici italiani e greci che hanno la stessa visione paneuropea.  La responsabilità di questo triste epilogo è solo e soltanto della Grecia e dell’Italia, ma la tecnocrazia giace nel DNA dell’Europa moderna. Jean Monnet, il brillante economista francese, diplomatico e padre fondatore dell’Europa non è mai stato “eletto” nella sua vita. Resta da vedere se la tecnocrazia può fornire una risposta soddisfacente all’emergenza europea […]” (Financial Times, 11/11/2011)

In fondo il giorno delle dimissioni di Berlusconi ce lo immaginavamo diverso. La festa è mitigata dal fatto che siamo costretti a prendere atto della debolezza della politica di fronte al potere – non sempre buono, come ampiamente dimostrato – del mercato e della finanza.

Ma in realtà molti di quelli che oggi si oppongono alla tecnocrazia e invocano nuove elezioni, sono i primi che hanno abdicato alla democrazia, ritenendola – al più – un ideale da costruire con strumenti non democratici. Sono quelli che con l’alibi di un “dispotismo illuminato” hanno comandato per decenni questo Paese, con metodi pre-rivoluzionari o sovietici (a seconda della parte politica). Trovatemi un partito, e dico uno, anche tra quelli che vorrebbero presentarsi come “innovativi”, che al suo interno selezioni la sua classe dirigente affidandosi a metodi democratici. Trovatemi un partito, e dico uno, che proponga un programma condiviso dalla base dei suoi iscritti o elettori. Trovatemi un partito, e dico uno, che presenti candidati – a ogni livello – scelti dalla base, e non dalla segreteria. Trovatemi un parlamentare che abbia mai accompagnato la sua eventuale retorica “anti-casta” con atteggiamenti personali coerenti, ad esempio rinunciando agli assurdi privilegi che la sua carica – purtroppo – oggi comporta.

Non è detto che affidarci a un tecnocrate come Monti, allora, possa avere effetti peggiori di quelli a cui ci ha esposto questa classe politica antidemocratica. Ovviamente tocca sempre a noi, cittadini responsabili, vigilare sul suo operato. Perché se la BCE dovrà monitorare il giusto indirizzo di finanza pubblica, siamo noi e solo noi a dover controllare l’impatto che quelle scelte avranno sulla nostra vita e sul nostro futuro: i partiti hanno tradito il loro ruolo, ma la società civile non può smettere di chiedere, anzi di pretendere, il rispetto del patto sociale con lo Stato.

Se abbiamo voluto credere che il dispotismo illuminato dei partiti potesse condurci alla democrazia, perché non possiamo riporre nella tecnocrazia speranze analoghe?

Ma Buttiglione no!

In questi giorni ho cercato di informarmi il più possibile sul destino del prossimo Governo italiano. Prima di prendere parte al gioco #MontiSi #MontiNo di Servizio Pubblico (sorprendente che la diffusione di poche notizie sull’origine “politica” di Mario Monti siano state sufficienti a sovvertire il risultato del sondaggio), ho pensato che in realtà, a questo punto (a cui non saremmo dovuti arrivare) non abbiamo grandi scelte e che forse un’idea più chiara potremo farcela solo dopo aver conosciuto i membri proposti per il nuovo esecutivo. Purtroppo i primi nomi che circolano nel “totoministri” sono la prova che il prossimo sarà un governo “istituzionale”, anziché “tecnico”. Per cercare una maggioranza parlamentare solida, dunque, pare che si andranno a ripescare membri del Governo attuale (già ampiamente sfiduciato), come La Russa e Frattini, accanto a esponenti di spicco delle altre forze parlamentari. Tra questi circola il nome di Rocco Buttiglione: il senatore dell’UDC, secondo questi rumors, dovrebbe sostituire Maria Stella Gelmini al Ministero dell’Istruzione. Forse è opportuno ricordare che l’illustre esponente dell’UDC, che parla 5 lingue (purtroppo tutte contemporaneamente, come dice Sabina Guzzanti), nel 2004 fu respinto dall’Europa per le sue posizioni contro le donne e contro gli omosessuali: “come cattolico considero l’omosessualità un peccato, ma non un crimine“, ” I bambini che hanno solo una madre e non hanno padre sono figli di una madre non molto buona. E i bambini che hanno solo un padre non sono bambini perché un uomo da solo può fare un robot. Ma non può fare bambini“, “le famiglie tradizionali pagano le pensioni ai gay“, sono alcune delle sue affermazioni. Il Parlamento europeo, infatti, votò la sua bocciatura come membro della Commissione (la nomina fu avanzata da Berlusconi), costringendo Barroso a riformulare una nuova proposta per l’Esecutivo Europeo.  Dopo due anni la casa delle Libertà lo candidò a sindaco di Torino contro Chiamparino, e ottenne il 29, 4% di preferenze (contro il 66,6% di Chiamparino).

La carriera accademica di Rocco Buttiglione non è maturata in Università Pubbliche. E’ vero, è docente universitario, ma – ribadiamolo –  solo di “pie” Università e dell’Istituto “accademico” da lui stesso fondato in Lienchstein, l’Academy for Philosophy in the Principality. Possiamo essere certi, dunque, che non abbia grande considerazione dell’Istruzione come Funzione Pubblica, nè che possa giovare al nostro prestigio internazionale. Se poi lo scopo di questo nuovo Esecutivo è aiutarci a rivalutare quello di Berlusconi ditecelo subito, senza farci alimentare l’illusione che forse qualcosa può cambiare davvero.

A “Prima pagina” per parlare di costi della politica

Oggi sono intervenuto a “Prima pagina“, la trasmissione di Radio Tre che, dopo la rassegna stampa, raccoglie domande e opinioni degli ascoltatori. Non mi piace l’idea che il problema della riduzione dei costi della politica passi solo come un problema di “economia pubblica” o, peggio, come un aspetto di “moralizzazione” dei costumi. Io credo fermamente che ridurre le indennità dei politici – soprattutto in presenza di una legge elettorale che non garantisce una rappresentanza – serva innanzitutto a selezionare una classe di politici motivata dall’interesse pubblico, più che dal danaro e dai privilegi. L’ho già scritto in un altro post. Un’indennità di 2.500 euro mensili più qualche gettone per lavori più impegnativi (ad esempio per la partecipazione – effettiva- a commissioni) e qualche benefit (ad esempio, viaggi gratis nel territorio nazionale) sono sufficienti a far sì che lavorino bene. E soprattutto che lavori gente seriamente motivata.

Così ho cercato di chiedere l’opinione di Michele Concina, che forse però ha frainteso la mia domanda. Probabilmente non mi sono spiegato bene: le cose che volevo dire erano talmente tante che forse quello non era il luogo opportuno per esprimermi. In ogni caso qui c’è il mio intervento (e la sua risposta):

 

Sud efficiente e cortese

Ho comprato casa. Ciò che per il mondo non è nemmeno una notizia, per me è un evento drammatico: l’impegno economico che si assume con la banca, la burocrazia incomprensibile, le consulenze tecniche e giuridiche e, alla fine, l’atto di compravendita. Non è stato facile. Per ottenere tutti i certificati e la documentazione necessaria ho lavorato mesi. Il Comune di Firenze ci mette a disposizione un sito per ottenere tutti i certificati on line, ma purtroppo nonostante abbia seguito l’iter (incredibile) per venire in possesso di user e password, non sono riuscito ad utilizzarlo, perché è continuamente “in manutenzione”. Anche il call center del Comune non riesce ad andare al di là di qualche informazione, e non sempre attendibile, tanto che mi hanno indirizzato allo sportello per ottenere un certificato che invece poteva rilasciarmi solo il Comune di nascita.  Così il giorno prima della stipula dell’atto mi mancava l’estratto di nascita, che potevo fare solo ad Avellino. Ero nel panico: senza sarebbe saltato tutto. Così ho chiamato l’Ufficio anagrafe del Comune di Avellino, e ho spiegato la situazione (forse anche in maniera convulsa). Risposta dall’altro capo del filo: “e che problema c’è?”. Nel giro di 20 minuti avevo nella mia casella email copia dell’estratto di nascita e un rigo prima dei saluti: “lieti di poterle essere utili”.

Dente sounds good

Io tra di noi, il nuovo album di Dente distribuito da Venus Distribuzione  entra in classifica e si piazza direttamente al quindicesimo posto, tra Zucchero (Chokabeck) e Vasco Rossi (Vivere o niente). Dente ha scritto un bell’album, ironico, intelligente e pop. E per promuoverlo non ha avuto bisogno di annunciare il suo ritiro dalla scene, né di cercare sul web l’autore misterioso di una canzone, né di montare un caso sull’improbabile censura di un titolo. Dente scrive bene, canta bene e dice cose interessanti. Lo paragonano a Battisti, ma solo perché ha una voce acuta e sottile e ritmi sostenuti (sostenuti per il mondo cantautorale, ovviamente). I testi sono tutt’altra cosa: grazie a Dio Dente non ha bisogno di Mogol (a proposito, chapeau anche per questa dichiarazione che in tanti condividiamo). Vi invito ad ascoltare qualcosa di quest’ album! Su PopOn una considerazione più ampia.

Una proposta per ridurre il vero costo della politica

Dopo la pubblicazione dell’inchiesta “La casta” di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, ma forse anche da prima, da quando tramite catene di email cominciò a diffondersi la notizia dei super stipendi dei parlamentari e degli amministratori pubblici, rapidamente la riduzione dei “costi della politica” è diventata il nuovo mantra di una protesta trasversale, che parte dai movimenti extraparlamentari e – in tempi di crisi e di manovre – ha provato anche ad attecchire in qualche corrente di partito (in maniera più o meno convinta, più o meno strumentale).

Certo i numeri sono impressionanti. Secondo i dati forniti dalla Camera dei Deputati e dal Senato, un parlamentare arriva a prendere dai 14.000 ai 17.000 euro netti al mese, senza considerare altre forme di benefici (come la generosa polizza sanitaria o la tessera per la libera circolazione autostradale, ferroviaria, marittima e aerea per i trasferimenti sul territorio nazionale) e senza considerare l’accumulo di contributi previdenziali, validi poi per i “vitalizi”. Anche tra gli amministratori di Regioni, Province e Comuni le indennità non sono così scarse: per i Presidenti di Regione si va dai 7.000 agli oltre 14.000 euro; naturalmente l’ indennità di tutta la schiera di consiglieri e assessori viaggia sulle stesse cifre, essendo determinata quasi sempre come percentuale su quella del Presidente.

La questione evidentemente deve essere affrontata, ma occorre farlo senza demagogia.

Innanzitutto bisogna considerare che il vero costo della politica non è solo l’esborso economico che noi tutti affrontiamo per mantenere questi privilegi a un numero più o meno grande di politici, ma soprattutto il fatto che tale sistema nel tempo ha selezionato una classe politica motivata soprattutto dal danaro e dal potere: politici incompetenti e svogliati che non propongono leggi, non monitorano la loro applicazione, non sondano i bisogni della società e non sanno interpretarli. Non sono in grado di prevenire i problemi, spesso li aggravano, e non da ultimo forniscono un modello culturale di riferimento in cui dominano incompetenza e immoralità. È l’instaurazione di quella che Antonio Merlo, direttore del dipartimento di Economia della University of Pennsylvania, chiama “mediocracy“: una classe di politici di professione, mediamente ignoranti e irresponsabili. È sufficiente seguire il monitoraggio di Open Parlamento per rendersi conto dell’attività parlamentare. Quest’anno, ad esempio, i nostri parlamentari sono riusciti ad approvare solo 14 leggi, di cui non tutte sono illuminate: alcune sono in evidente conflitto di interesse con il proponente, altre sono molto discutibili (come la cosiddetta legge Levi). Sarebbe più che opportuno, dunque, riformare questo sistema. Ma come?

Alcuni propongono di dimezzare il numero dei rappresentanti e i loro stipendi. Sul primo punto non sono d’accordo. La democrazia è tanto più vera quanto più sono garantite rappresentanza e partecipazione. Ridurre il numero dei parlamentari o dei consiglieri degli Enti locali vuol dire creare un’elite aristocratica e poco rappresentativa, che non garantisce di per sé maggior competenza o responsabilità. Anzi, per assurdo, potrebbe comportare addirittura un impoverimento del già esiguo contributo politico. Ovviamente, al di là dei numeri, la legge elettorale ha il suo peso in questa selezione: sarebbe necessario poter scegliere i propri rappresentanti e purtroppo né il Porcellum, né il “riscoperto” Mattarellum vanno in questa direzione. Ma questo è un argomento che merita un’altra analisi.

Sulle indennità invece si può e si deve incidere. Le indennità dei politici hanno subito un aumento graduale nel tempo: non sono state sempre così alte e questo potrebbe bastare a fugare ogni dubbio sul fatto che tali stipendi siano giustificati da qualche motivo. Eppure di ragioni ne sono state fornite diverse; le due più accreditate sono che parlamentari e amministratori sacrificano la carriera personale per dedicarsi qualche anno alla politica, quindi è giusto remunerare meglio il loro lavoro e assicurargli, in più, una pensione “risarcitoria” (cosiddetto paracadute d’oro) oppure  – ed è la seconda ragione – che è necessario retribuirli tanto per preservarli dai vari livelli di “attività di influenza”.

La prima ragione è facilmente confutabile: i nostri politici non si dedicano alla politica solo per pochi anni, ma ne fanno professione. Il tasso di turn over parlamentare non è alto e si riduce ulteriormente se si pensa che la tantissime “new entry” provengono da altri incarichi amministrativi (una sorta di carriera interna che prevede la “promozione” dal Consiglio Comunale a quello Regionale, per approdare al Parlamento e infine – al termine della carriera, quando magari si è stanchi e senza troppa voglia di viaggiare – al Parlamento Europeo). Quando anche i politici effettivamente “sacrifichino” la loro carriera personale “solo per qualche anno”, se lavoratori dipendenti la legge già garantisce specifiche prerogative per il reintegro. In caso di lavoro autonomo, in effetti, il problema si porrebbe, ma è anche vero che un parlamentare che ritorna alla professione dopo il suo incarico politico (caso rarissimo, come ci racconta Gian Antonio Stella) potrebbe guadagnare di più di quando lo aveva abbandonato, perché la sua carica gli ha comportato una visibilità e una rete di relazioni che costituiscono un vantaggio professionale. Ovviamente ci sono casi in cui alcuni professionisti sacrificano redditi effettivamente più alti per svolgere il ruolo di parlamentare o amministratore. Ma il Parlamento non è un’impresa che deve accaparrarsi le menti più quotate sul mercato. Cerca le persone più motivate dall’interesse pubblico, dal bene comune. Nessun magistrato, avvocato di grido, commercialista d’assalto, matematico, nessun premio nobel è necessario se la sua missione non è sostenuta da quest’aspirazione. E tuttavia credo che sia possibile affrontare anche il mantenimento delle migliori professionalità all’interno degli organismi politici.

Per quanto riguarda la seconda ragione portata a sostegno delle super indennità, appare davvero sorprendente che si debbano pagare molto i nostri rappresentanti per far sì che non vengano corrotti. È un ragionamento davvero labile: vuol dire avere un pregiudizio negativo sulle persone che pure scegliamo che ci rappresentino, e per evitare che “cadano in tentazione” li corrompiamo a priori, riconoscendogli privilegi economici, che pure, nei casi più noti di malapolitica, non sono sufficienti a garantirne l’onestà: se scegliamo parlamentari disonesti e avidi, restano disonesti e avidi. Euro in più, euro in meno.

Dunque se davvero si vogliono abbattere i costi della politica occorre garantire un sistema che prevenga i casi di conflitti di interesse, che inasprisca le pene per i reati di corruzione e concussione (e che riporti a livelli accettabili la prescrizione per questi reati) e che riduca drasticamente i privilegi economici per i politici: si garantiscano a ciascun deputato le condizioni per venire incontro all’elettorato (dunque ben venga la tessera per viaggiare gratuitamente per tutto il territorio nazionale), ma si cancellino tutti gli altri privilegi. Si riconosca un’indennità di carica pari allo stipendio medio delle professioni intellettuali (o dirigenziali, a seconda del ruolo) per i politici che non provengono dal mondo del lavoro, e pari all’ultimo reddito che hanno dichiarato, per i politici che provengono dal “mercato”, stabilendo – ovviamente – un tetto massimo. E l’erogazione delle indennità sia correlata all’effettivo esercizio dell’attività politica e – per chi proviene dal mercato –  alla sospensione temporanea dal suo lavoro.

La democrazia e la politica hanno un costo che sosterremmo volentieri se producesse una buona amministrazione dello Stato e degli Enti, la salvaguardia dei nostri diritti, la conquista di nuove libertà. Ciò che va eliminata è soltanto l’idea che fare politica sia un privilegio riservato a pochi e non una responsabilità affidata a molti.

Mai fidarsi

La più bella vignetta europea 2° me

Ok, Mauro Biani ha vinto il primo premio per la miglior vignetta europea del 2011. Ne sono felicissimo: ha vinto la vignetta che ho spudoratamente promosso per il concorso. Però, ad essere sinceri, credo che la giuria avrebbe fatto bene a selezionarne un’altra, sempre di Mauro Biani, pubblicata su Liberazione del 12 maggio, e che riporto sulla sinistra.

Questa vignetta sintetizza efficacemente la complessa situazione economica europea ed ha anche il vantaggio di essere facilmente comprensibile. Sono sicuro che gli autori del Misfatto sono d’accordo con me!

Donna stupefacente

A Firenze sono stati arrestati nove criminali appartenenti a tre organizzazioni dedite al traffico di cocaina. La droga arrivava dall’Olanda, e a Firenze veniva tagliata, divisa in dosi e infine venduta da una rete di “agenti”. Fin qui nulla di nuovo. Quello che stupisce è il codice utilizzato per telefono dagli spacciatori, che camuffano l’oggetto della vendita simulando tutt’altro commercio: la cocaina in codice viene chiamata “donna”, se è di buona qualità viene chiamata “giovane” e il prezzo è definito “prestazione”. Quasi come se la tratta delle donne sia, invece, un’attività lecita.

Una delle eredità di questi ultimi anni di dibattito politico e pubblico, evidentemente, è la normalizzazione della prostituzione femminile, almeno nell’immaginario di alcuni. Non giova l’autoesaltazione di tante “escort” che fanno addirittura vanto della loro attività. Per questo ho trovato molto interessante la riflessione della Top Model italiana Bianca Balti, che l’altro giorno, nel corso di una bella intervista al Corriere, dopo aver dichiarato – senza se e senza ma – che vendere il proprio corpo è sbagliato, ha aggiunto in maniera provocatoria, che è preferibile essere prostituta anziché escort, perché “chi aspetta i clienti lungo i viali ha coscienza di sé e di quello che fa. È l’unico punto di partenza per un riscatto. Invece oggi tante si vendono in cambio di soldi o di lavoro e fanno finta di essere delle gran dame”.

Nuovo blog a prova di Governo

Wikipedia gestisce milioni di informazioni e giustamente non può garantirne l’aggiornamento in base alla sensibilità delle persone che a causa di quelle informazioni possono sentirsi “offese”. Insomma, come ci hanno ricordato i gestori, Wikipedia e la nuova legge “bavaglio” non possono coesistere. Però un mio amico ha pensato che un piccolo blog, con poche informazioni rettificate già all’atto della pubblicazione, che dica tutto e il suo contrario, può sfidare questa legge. E così stamattina lo ha aperto e, coinvolgendo altri amici, vi ha pubblicato la prima notizia, con tanto di rettifica, ovviamente. Il blog si chiama comma29, per ricordare proprio il comma dell’art. 35 della legge bavaglio, che impone l’obbligo di rettifica entro 48 ore dalla pubblicazione della notizia per tutti coloro che forniscono informazioni giudicate offensive dal primo che si sveglia la mattina.

Ora veniamo a sapere che (probabilmente) il governo ha cambiato idea e che ha modificato la norma cosiddetta “ammazza blog”, restringendone la portata solo alle testate registrate. Vorremmo esserne tutti più sollevati, ma non possiamo, per vari motivi. Il disegno legislativo, infatti, si intitola “Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche“. La norma cioè, già nel titolo, indica chiaramente che si tratta di un provvedimento volto a limitare sensibilmente la libertà di stampa, soprattutto attraverso l’introduzione del carcere per i giornalisti che integrino determinati illeciti e l’impedimento della divulgazione delle intercettazioni. La modifica del comma “ammazza blog”, dunque, limita il danno, ma il danno resta. Soprattutto perché questa legge fa virare il nostro ordinamento verso una direzione censoria che non ha mai conosciuto, in nome di un’impunità chiamata “garantismo” e di una disinformazione  chiamata “privacy”. Per questo il blog comma29, con la sua provocazione, continua a sfornare notizie (e rettifiche). Hai visto mai che un giorno ai gestori venga voglia di registrare la testata?

Tu chiamami se vuoi qualunquista

C’è poco da fare: ogni volta che qualcuno prova ad attaccare il meccanismo attraverso cui i parlamentari si autopreservano, immancabilmente viene tacciato di qualunquismo. Se Beppe Grillo – senza il richiamo di TV e giornali – porta in piazza 300.00 persone ecco che i “politici” si focalizzano sulla volgartià dei toni della protesta;  se Della Valle compra una pagina di giornale per esprimere il suo risentimento nei confronti della classe politica, viene delegittimato ricordando che a suo tempo ha sostenuto l’Udeur.  E così via: quando sollevi il problema della cattiva politica sei etichettato come antipolitico. E non c’è scampo.

Ma poi, dati alla mano, i veri paladini dell’antipolitica sono proprio loro: gli oligarchi che siedono in Parlamento. Una semplice elaborazione di Openpolis dimostra (con toni pacati e senza ombra di conflitto di interesse) come maggioranza e opposione in questi ultimi 3 anni abbiano collaborato al decadimento del Paese. L’opposizione, senza grosso clamore mediatico, ha salvato la maggiornaza il 35% delle volte, avallando di fatto leggi come quella sul salvataggio Alitalia (L. 111/2008), la Riforma Brunetta della pubblica amministrazione (L. 15/2009) o la Legge sullo scudo fiscale (L. 141/2009), tanto per fare qualche esempio.

Vale la pena leggere tutto il documento.

I numeri  – racconta l’Associazione Openpolis – svelano la comoda finzione della rappresentanza parlamentare che scade spesso nella rappresentazione dove in molti, anche se non tutti per fortuna, sono presi da così tante altre faccende – altri incarichi pubblici (22 ministri, 31 sottosegretari, 2 sindaci, 4 assessori comunali, 12 presidenti e 11 consiglieri provinciali), da attività professionali (134 avvocati, 116 imprenditori, etc.) o di partito – che alla fine, quella di parlamentare, si riduce ad essere solo una sorta di incombenza ben remunerata, da gestire come si può tra le altre“.

Tu chiamami se vuoi qualunquista, io ti chiamerò “parlamentare a tempo perso”.

Se anche twitter censura le rivoluzioni

 

Sono appena rientrato dal Festival di Internazionale, dove ovviamente si è parlato molto della “primavera” araba e della varie forme di protesta civile che tentano di far pressione sui governi. Il ruolo dei social network nell’organizzazione delle rivolte, in particolare, non è messo in discussione da nessuno se non da coloro che li temono (interessante, ad esempio, il documentario Tahrir, del bravissimo Stefano Savona, ma anche l’intervento del blogger cinese Michael Anti). Eppure oggi, grazie a dei blogger stranieri, scopro che Twitter, in cui JP Morgan ha appena investito 400 milioni di dollari, sta operando una sorta di censura nei confronti dell’occupazione di Wall Street. Se attraverso il sito “Trendmaps” si fa una ricerca della frequenza dell’hashtag #OccupyWallStreet, si vede che l’argomento su Twitter prevale in tutto il mondo tranne che nelle Americhe. Come è possibile? L’unica spiegazione è che Twitter evita di fa comparire l’hashtag in questione nella classifica dei più utilizzati negli USA.

Anche attraverso Google Trends, come evidenziato da Alexander Higgins, emerge un disinteresse assoluto della notizia da parte dei media più importanti, nonostante la richiesta di notizie sia elevatissima, come dimostra il grafico aggiornato a oggi (a destra).

Quando i media sono concentrati nelle mani di pochi, siano essi tradizionali o innovativi, il rischio della censura è sempre in agguato. L’unico antidoto sembra essere la più ampia diffusione della “proprietà” dei media. Il modello che ispira DIASPORA, allora, sembra sempre più interessante.

Nel frattempo qualche notizia si può trovare (non senza difficoltà) anche nei nostri giornali.

Aggiornamento delle 18:45. Un lettore mi segnala che la mancata visualizzazione dell’hastag su trendmaps può essere dovuta a uno zoom limitato, aumentando il quale l’hashtag compare. Non è molto chiaro anche perché l’hashtag non compare mai, comunque, tra i trending topics di twitter.

Tempo alla musica

Ieri sera è uscito quest’articolo, in cui segnalavo che l’album “è” di Erica Mou, uno dei dischi selezionati dalla giuria del Club Tenco nella rosa dei finalisti per la Targa a miglior opera prima, non è  in realtà un’opera prima. E stamattina, tramite Enrico De Angelis,  l’organizzazione del premio ha comunicato che il disco è stato ritirato dalla cinquina. C’è qualcosa che non va nel regolamento del premio Tenco, perché anche l’anno scorso si è verificato un caso analogo. Troppi dischi e non si riesce a stare dietro a tutte le uscite. E’ anche per questo che credo fortemente nel progetto Slow Music.