Da un po’ di tempo circola una storia sul web. Magari è una bufala, non so, oppure è autentica. Di sicuro è plausibile, e oggi ci ho pensato molto leggendo i titoli dei giornali relativi al nuovo “mostro”, alla “bestia” di Firenze. Secondo questa storia “c’è una tribù africana che quando qualcuno fa qualcosa di sbagliato viene preso e messo nel centro del villaggio, quindi arriva tutta la tribù e lo circonda. Per due giorni ciascuno gli ricorda tutte le cose buone che ha fatto nella vita.
Questa tribù crede fortemente che ogni essere umano sia un bene, che ognuno sia desideroso di amore, pace, sicurezza, felicità. Eppure a volte, nel perseguimento di queste aspirazioni chiunque può commettere degli errori. La comunità vede quegli errori come un grido di aiuto. Per questo tutti i membri della comunità si riuniscono per aiutare chi ha commesso gli errori e per ricollegarlo con la sua vera natura, fino a quando non ricorda pienamente la verità dalla quale era stato temporaneamente disconnesso.”
In questi giorni a Firenze sono venute alla luce delle atrocità commesse da un uomo. Si tratta di crimini raccapriccianti e non si può non solidarizzare con le vittime, che purtroppo sono tante, dalle ragazze barbaramente seviziate, fino ai familiari stessi dell’uomo. Però ogni carnefice è un essere umano, ferito o malato o “disconesso” dalla sua vera natura. Sicuramente un infelice. Come diceva il mio maestro Valentino Salvoldi non esiste un criminale, ma un sogno che non è volato, un amore che non è stato donato. E mi stupisce e mi rattrista che per le Istituzioni e per i mass media di questo Paese un uomo – per quanto atroci possano essere stati i suoi reati – possa essere privato dalla sua dignità di essere umano.
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