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Firenze, domani 31 dicembre 2011

Dati tratti dal sito La Mia Aria

Per Liberazione

Mi auguro che il giornale Liberazione non cessi di esistere: il pluralismo dell’informazione è una condizione imprescindibile per la democrazia. In queste ore si decide il suo futuro. Ci stiamo scervellando un po’ tutti per trovare una soluzione alternativa che compensi il taglio dei finanziamenti statali. Se avete qualche idea utile allo scopo, vi prego di indicarla anche tra i commenti di questo post. Nel frattempo i lavoratori hanno deciso di occupare il giornale. Carlo Gubitosa sintetizza perfettamente il cuore del problema.

E loro neanche lo sanno

Quando una persona è libera e onesta intellettualmente la prendiamo spesso come punto di riferimento. E’ molto facile con gli intellettuali del passato, perché il tempo aiuta a essere obiettivi, a storicizzare, a creare una sintesi generale del pensiero, eludendo eventuali contraddizioni.  Per i vivi è più difficile, perché spesso ci guidano nella riflessione, poi però non riusciamo a “riconoscergli la libertà di crescere e di cambiare, cioè di vivere”*. Ora si vanno a ripescare articoli di Giorgio Bocca scritti quando aveva 18 anni, oppure frasi più recenti considerate “omofobe” o “razziste”, ma avulse dal ragionamento generale in cui pure sono inserite. Cretinate. Forse i blog e i social network ci hanno abituato all’idea che davvero chiunque possa dire di tutto, che il primo sbarbatello saccente possa dare giudizi sui veri intellettuali come fosse uno storico intellettuale egli stesso. Magari persone che non hanno letto mai niente di Giorgio Bocca, se non gli articoli che in queste ore stanno rimbalzando su Internet, e credono di doverne fare necessariamente una sintesi. Penso che Giorgio Bocca ha combattuto anche per la libertà d’opinione di questi “catoni”, e loro neanche lo sanno.

* Vasco Rossi, La versione di Vasco, Chiarelettere, 2011

Buon Natale

Siamo fatti di linguaggio

“Giocare con le parole significa avere la possibilità di smontare il luogo comune, acquisire una maggior conoscenza di sé, perché siamo fatti in gran parte di linguaggio. Il nostro modo di ragionare, di relazionarci è determinato dal linguaggio che usiamo. Anche per sognare e per pensare usiamo un linguaggio che ci viene costantemente insegnato, aggiornato. Ma spesso non abbiamo l’abitudine di smontarlo per scoprire che cosa c’è dietro, cosa mi può insegnare, cosa può svelare. Invece questa capacità può diventare un’arma che in alcuni casi è anche dirompente: non è il mio caso, ma potrei fare molti esempi”. Questo e altro lo racconta Daniele Silvestri in una lunga intervista.

Non sappia la mano destra ciò che fa la mano sinistra

Devo dire che questa volta secondo me Matteo Renzi si è comportato bene, condannando senza se e senza ma la violenza razzista e sensibilizzando tutta la città (dalle scuole alle attività produttive) sull’argomento. Come ho già notato tempo fa, Renzi può avere tanti difetti, ma non mi sembra che abbia mai assecondato le inclinazioni xenofobe di parte del suo elettorato. Di questo gliene do merito. Eppure c’è un episodio che mi fa tenerezza. E’ accaduto ieri, quando ho letto queste parole: “Però vogliamo guardare in faccia la realtà. E dire che esiste una gigantesca questione educativa e culturale, nel nostro tempo. Bisogna avere il coraggio di affrontarla, a partire dalle scuole. Senza avvisare nessuno, questa mattina prima di venire in Palazzo Vecchio mi sono fermato in Piazza Dalmazia. E parlando con la nostra gente – lontano dai taccuini e dalle telecamere – ho promesso a me stesso che lo faremo.” Sono parole di Mattero Renzi, scritte nell‘email che ieri ha spedito a migliaia di fiorentini (a me arriva su ben due caselle di posta) e che ha pubblicato sul suo sito web.

Cavoli, non ce la fa proprio! Ieri mattina è andato in Piazza Dalmazia in gran segreto, ma non appena rientrato ha sentito il bisogno di dirlo urbi et orbi.

La legge contro l’odio razziale c’è già, ma va applicata!

Il post risulta modificato perché nella prima elaborazione – ingannato da notizie di stampa e dal calembour legato al nome di un sito – avevo invitato a segnalare al Ministro alcuni siti web di cui non avevo approfondito l’origine e il contenuto, tra cui il sito fascinazione.info, che risulta essere del tutto estraneo ai comportamenti che la legge sanziona. Me ne scuso con gli autori e/o responsabili del sito in questione. 

L’emergenza italiana non è solo finanziaria, ma anche e soprattutto culturale, come testimoniano le terribili notizie di cronaca di questi giorni. Per questo credo che sia opportuno chiedere al Governo, e in particolare al Ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, di muoversi immediatamente per perseguire tutti coloro che a seguito dell’uccisione di Samb Modou e Diop Mor, stanno integrando gli estremi di un reato tornato di moda: l’odio razziale.

Non c’è bisogno di una nuova legge, è sufficiente applicare la Legge Mancino (L. 122 del 1993 , ), che sancisce che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, […] è punito […] con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni[…]

Possiamo scrivere un’email a liberta.civiliimmigrazione@interno.it, ovvero il dipartimento del Ministero che si occupa dei diritti civili, per chiedere l’oscuramento dei dei gruppi di Facebook, siti o blog che integrino il reato previsto dalla Legge Mancino.

Questo il testo dell’email che ho inviato (e che, nel caso, può essere copiato): (Continued)

Un piccolo raggio di luce in una vicenda terribilmente buia

A Firenze un insano proveniente da ambienti di estrema destra è andato in giro a sparare ad ambulanti senegalesi. Ne ha uccisi due e feriti altri due. A seguito di colluttazioni con la polizia, poi, si è tolto la vita. Poveraccio. Ma della vicenda mi soprende positivamente la reazione dei cittadini fiorentini: un edicolante ha tentato di fermarlo e di rubargli la pistola, un altro lo ha inseguito fotografando la targa della macchina, e altri hanno cercato si sbarrargli la strada. E’ quanto basta a far capire che la civiltà esiste ancora e mi commuove sapere che nemmeno venti anni di stupida xenofobia sono riusciti a corrompere il cuore di tanti cittadini onesti. Riposate in pace fratelli senegalesi e perdonateci se abbiamo consentito che qualcuno fomentasse troppo malessere e ingiustificato razzismo.

L’ideologia del dubbio

“Mi piacerebbe che la politica ritrovasse il gusto del progetto e fosse capace di scrivere una promessa credibile per il futuro. Tante volte mi hanno chiesto di candidarmi, di schierarmi: mi sono sempre rifiutato. Se dovessi definirmi, direi di essere stato sempre un uomo libero, un cinematografaro – come mi piace questa parola, com’è brutto dire cineasta – senza un impegno politico. L’accusa più ricorrente, contro di me, è sintetizzata in una critica: “Si nota il limite cattolico dell’autore” dissero di un mio lavoro, tanti anni fa, mentre io non ho mai neppure sottoscritto il cattolicesimo. Sono soltanto un aspirante cristiano e penso che la migliore ideologia consista nel non essere schiavi dell’ideologia. Pratico l’ideologia del dubbio: mi spaventano quelli che pensano di aver capito tutto. Quando ho cominciato a girare, c’era, eccome, un’egemonia di sinistra. Chi stava di là poteva raccontare quel che voleva, gli altri faticavano. Con Goffredo Lombardo, gran signore napoletano che regnava sulla Titanus, prima casa di produzione nazionale, provammo a fare un film sulla ritirata di Russia, raccontata nei suoi libri da Mario Rigoni Sterni. Andai a cercare i luoghi adatti, partii prima per Mosca e poi per la Cecoslovacchia, finalmente trovai il paesaggio giusto. Eppure, dopo tanti incontri, sempre con le stesse persone, non riuscivo a capire perché mancasse sempre l’autorizzazione finale. Dopo un anno di tentativi, il mio intermediario del Pci mi disse: “Ma ancora non hai capito? Tu non sei affidabile, non ci garantisci”. E l’anno dopo, il 1964, Giuseppe De Santis, iscritto al partito, girò Italiani brava gente, lui era in linea. Io no. Rimasi addolorato, allora. Adesso sorrido” (Ermanno Olmi)

SEL tra antiberlusconismo e antimontismo

Sono molto deluso dall’atteggiamento di chiusura che hanno dimostrato alcuni gruppi politici, parlamentari e extra parlamentari. In particolare l’atteggiamento di Sinistra Ecologia e Libertà che con un comunicato non è riuscita a far altro che opporsi duramente alla manovra, senza riconoscere nulla allo sforzo dialettico messo in atto in 15 giorni da questo governo e – soprattutto – senza avanzare delle proposte concrete (addirittura annunciandole da lì a venire, come se in tutto questo tempo Assemblea, presidenza, segreteria e comitato scientifico – tutti organismi per entrare nei quali i componenti si sono sfiniti di trattative – avessero avuto altri problemi più urgenti da affrontare).
E’ un’opposizione durissima, che sarebbe anche giustificata, se non fosse sostenuta da mera demagogia e se non facesse presentire che è funzionale solo a un riposizionamento strategico in vista delle elezioni.
Bossi, Di Pietro, Ferrero e SEL (ma per fortuna non Vendola, che in questi giorni sta virando verso un atteggiamento di maggior dialogo verso le altre forze politiche), si trovano d’accordo sulla linea della protesta, ma la loro proposta è priva di un contenuto veramente politico: certo, chiedono la riduzione degli armamenti, l’estensione dell’ICI alla chiesa, la tassazione di capitali scudati, e altri provvedimenti che singolarmente presi ci sembrano giustissimi e indifferibili. Ma risulta evidente che non sono inserite in un programma chiaro: sono proposte non strutturate, non integrate in un’analisi che tenga conto della complessità del sistema politico, economico e finanziario. Eppure ricordo che proprio il leader di SEL a Firenze a settembre ci raccontò che la politica è la gestione della complessità. Ma la sua classe dirigente non lo sta nemmeno a sentire? La complessità non è l’alibi per fare o non fare delle scelte, ma è una condizione con la quale misurarsi, soprattutto se vuoi governare. E sempre l’analisi scientifica, la ricerca, lo studio integrato dei fenomeni aiuterebbero a rispondere nella maniera più opportuna alle richieste di buon governo. SEL invece ha presentato un volantino con degli slogan o poco più. Qualche giorno dopo un documento più dettagliato, è vero, ma che non teneva ancora conto della “complessità” delle decisioni. Ad esempio chiedeva l’introduzione di una patrimoniale, ma non teneva conto degli effetti che quella tassa può avere sulla fuga dei capitali, nè sull’evasione (considerazioni che sono state già approfondite in altre sedi, vedi ad esempio da Pietro Modiano, presidente di Nomisma). E’ solo un esempio: analisi superficiali o non integrate sono state portate avanti su altri punti.
Credo che in questi anni terribili uno degli effetti culturali più dirompenti del “berlusconismo” sia stata l’eccessiva semplificazione delle risposte politiche. La demagogia l’abbiamo elevata a sistema, sottraendo il consenso al necessario approfondimento dei problemi. Deve essere stato senza dubbio anche un effetto della presenza preponderante della televisione come strumento del dibattito politico. La televisione impone tempi rapidi, ti fa vedere un’immagine e immediatamente dopo un’altra, senza darti la possibilità di riflettere sull’immagine appena trascorsa. Questo ha decretato il successo della politica dei trenta secondi, basata su slogan e trovate ad effetto. Una politica che si è retta sull’emozione, piuttosto che sulla riflessione. E naturalmente ha privilegiato chi ha saputo lavorare sul colpo di teatro, chi ha avuto l’ultima parola. Ha premiato, solo per fare un esempio, chi ha chiuso la campagna elettorale televisiva dicendo “Vi toglieremo l’ICI. Avete capito bene: vi toglieremo l’ICI”.
Per valutare il governo Monti e le sue misure, e anche per fare noi stessi delle proposte alternative, soprattutto laddove l’orientamento “politico” risulta essere decisivo, dobbiamo fare lo sforzo di studiare le relazioni tra fenomeni, dotarci di competenze e di strumenti scientifici per effettuare le analisi (che sono sempre necessarie).
Mi sembra evidente che forse con gli slogan si acquistano posizioni, seggi, ma non si governa un Paese.
Siamo vissuti 17 anni con gli slogan di Berlusconi e di Bossi, di Di Pietro e di Casini e l’unico effetto è stato quello di un Paese senza un governo, un Paese senza politica.
Io credo che dobbiamo prepararci a governare. Quello di Monti è un governo provvisorio che ha un obiettivo solo: deve condurci fuori dal rischio di default. Tra i suoi scopi non ha l’equità, non la coesione sociale, non l’ecologia, non il rafforzamento dei diritti. Deve ridurre il debito e il “come” non lo sceglieremo noi, purtroppo.
Quando questo governo finirà noi dovremo essere pronti e non ci basterà una locandina piena di refusi, di analisi superficiali e di “semplificazioni” elettorali. Nello stesso tempo è nostro dovere continuare a chiedere il rispetto dei diritti fin qui conquistati (se non l’acquisizione di nuovi diritti). Il punto a questo punto è “come” chiederlo: con la protesta o con la proposta di un’alternativa credibile?

La manovra sostiene le Accademie

La recente manovra finanziaria aiuta l’Accademia della Crusca: il decreto legge presentato dal Consiglio dei ministri, infatti, nell’art. 30 “in attuazione degli articoli 9 e 33 della Costituzione” prevede lo stanziamento di 700.000 euro per l’Accademia per il 2012. L’anno scorso, lo ricordo, l’Accademia ha rischiato di chiudere definitivamente per mancanza di fondi per pagare le spese di struttura e personale. Per l’Accademia dei Lincei sono stati previsti 1, 3 milioni di euro. Questi stanziamenti sono stati collocati tra le “esigenze indifferibili“. Tra tanti motivi di malumore legati alla manovra non possiamo non riconoscere questo segno di attenzione verso la cultura e il richiamo a due articoli della Costituzione della cui esistenza ci eravamo quasi dimenticati.

Ligabue vs Vasco, Facebook vs TG1

Dall’ufficio stampa di Ligabue ricevo questo comunicato: “Contrariamente a quanto affermato nel servizio del TG1 (a firma di Leonardo Metalli), andato in onda ieri sera durante l’edizione delle 20.00, si precisa che LIGABUE non ha mai cliccato su “non mi piace” (opzione peraltro non possibile su Facebook) riguardo ad un video di Vasco Rossi. Si sottolinea, inoltre, che non è (e non è mai stato) nello stile di LIGABUE esprimere pareri negativi sul lavoro artistico dei colleghi”.

L’idea che un comunicato ufficiale ci rassicuri sul click di Ligabue è una cosa piuttosto originale, e racconta anche di quanto Facebook sia diventato uno strumento importante e popolare. Ma c’è anche la notizia che il corrispondente del TG1 non sa che Facebook non ha la funzione “non mi piace” e che, in ogni caso, il TG1 consideri l’evento uno scoop giornalistico.

Ridurre i privilegi dei politici: se non lo fa il Parlamento lo facciano i parlamentari

Tra le varie misure previste dalla prossima manovra finanziaria Mario Monti annuncia anche di voler rinunciare all’indennità prevista per il suo seggio di senatore a vita, “se sarà tecnicamente possibile“. Sappiamo quanto la “tecnica” – creata dalla classe politica – si opponga al senso di responsabilità di alcuni politici, ma sappiamo anche perfettamente che non può nulla contro il senso di responsabilità individuale dei singoli parlamentari.
Esistono alcuni politici armati di buone intenzioni che periodicamente propongono la riduzione di indennità e vitalizi, senza tuttavia avere la forza per ottenerne l’approvazione in aula parlamentare. Eppure potrebbero applicare a se stessi le misure che vorrebbero estendere ai loro colleghi. Tecnicamente è sempre possibile. E’ sufficiente impegnarsi a devolvere quei soldi a un Ente terzo, con finalità trasparenti e fuori da ogni dubbio di conflitto di interesse con lo stesso parlamentare. Oppure creare una Fondazione a cui devolvere la parte di indennità o di vitalizio che loro stessi suppongono essere eccedente l’equo compenso. Attraverso un atto privato potrebbero vincolarsi a versare mensilmente una quota nelle casse della Fondazione. La Fondazione potrebbe utilizzare quei soldi per misure politiche condivise dai parlamentari che l’hanno costituita, magari proprio a vantaggio della democratizzazione di quei processi che oggi portano il ceto politico a auto-preservarsi.
E non sarebbero affatto pochi quei soldi! Pensiamo alla pensione da parlamentare che Veltroni ha riscosso già a 50 anni, quando si dimise per diventare sindaco di Roma. Oppure al vitalizio di Eugenio Scalfari, a cui vorrebbe generosamente rinunciare, se solo la legge glielo consentisse! E sommiamo i risparmi derivanti dalla riduzione  delle indennità di tutti i parlamentari dell’UDC che hanno votato per tale misura  e che “purtroppo –  dice Casini –  il PD non appoggiò“. Aggiungiamo i vitalizi dei 22 deputati che hanno votato, più di recente, l’eliminazione dei vitalizi proposta dal parlamentare IDV Antonio Borghesi, e i vitalizi d’oro di alcuni ex parlamentari ultramiliardari per cui la rendita parlamentare costituisce davvero poca cosa. E magari cominciamo a distinguere i politici che andremo a votare alle prossime elezioni anche in base a questo paramentro: quelli che propongono e quelli che effettivamente concretizzano la proposta con il loro comportamento.

Noi siamo il prodotto

Il Wall Stree Journal riferisce che Facebook si prepara a sbarcare in borsa con una valutazione pari a 100 miliardi di dollari;  il doppio, per intenderci, di un gigante come Hewlett Packard, ma anche una somma pari a due o tre manovre finanziarie italiane. Il punto è che questo “valore” non si spiega con i servizi che offre o con la pubblicità che raccoglie. Cosa produce Facebook, e cosa vende? Ieri durante il bel dibattito che abbiamo organizzato a Firenze, intitolato “DIASPORA*: un altro social network è possibile“, ancora una volta è emerso come le clausole di Facebook (che in genere accettiamo senza nemmeno leggere) consentano alla società Facebook Inc. di appropriarsi di tutti i dati privati che vi facciamo veicolare e di usarli come vuole. Già oggi, ad esempio, le nostre foto sono usate per banner pubblicitari. I nostri volti – a nostra insaputa – vengono utilizzati per reclamizzare prodotti e servizi. Facebook ci fa diventare testimonial di prodotti che neanche conosciamo. Inoltre queste policy consentono a Facebook Inc. di fornire qualsiasi informazione ai governi, senza mandato, o di vendere i dati  sensibili degli iscritti (abitudini private, navigazione, gusti). Questo, certo, spiega il valore di borsa del social network, che a oggi conta quasi un miliardo di iscritti. Paolo Tacconi, promotore convinto di DIASPORA*, nonché uno dei due relatori del dibattito (l’altro era Vittorio Cuculo), ha rilasciato una sua presentazione in Creative Commons, per cui chiunque può  consultarla e divulgarla (anche se ovviamente sconta il limite della “monodirezionalità”). L’invito è quello di partecipare di persona a eventi e dibattiti sull’argomento e cercare di approfondire il più possibile questi aspetti.

I sassolini di Concita

“Quando alle elezioni regionali del Lazio il PD non propose alcuna candidatura contro la Polverini si fece avanti Emma Bonino. Aveva tutti i numeri per vincere, ma il PD tardava a darle il suo appoggio. Come direttrice dell’Unità – organo del PD – non sapevo come comportarmi, perché arrivavano email dai parte dei lettori che mi dicevano che nei circoli del PD ricevevano indicazioni di non votare la Bonino. Allora andai a parlare con uno dei superdirigenti del PD, uno in alto, molto in alto, per chiedere che posizione dovesse prendere il giornale sull’argomento. E lui mi rispose: “Vedi Concita, in realtà nel Lazio ci conviene perdere”. E aggiunse:  “Certo, perché se vince la Polverini, che è la candidata di Fini, Fini si rafforza e può operare uno strappo più netto con Berlusconi, fondare un terzo polo più forte con cui poi noi ci alleiamo e vinciamo le elezioni”. Sbalordita domandai: “Ma come farà a spiegare a suoi elettori che volete perdere? E per giunta con lo scopo di allearvi con il terzo polo!”. E allora il superdirigente mi disse: “ma non saremo noi a dare spiegazioni, la spiegazione la darà la crisi economica!”.

Questo aneddoto – insieme ad altri relativi al suo rapporto conflittuale con la dirigenza del PD – ci è stato raccontato stasera da Concita De Gregorio durante il suo intervento al dibattito “L’alternativa maggiorenne. 18 anni dopo Berlusconi”, con Nichi Vendola, Adriano Sofri e Corrado Formigli, organizzato da Tilt! a Pisa. Lo ha raccontato – dice lei – per dimostrare come in realtà la crisi finanziaria era più che annunciata (addirittura prevista da un certo disegno strategico); ma a molti è sembrato anche un modo per riprendersi delle rivincite personali nei confronti di chi non l’ha lasciata lavorare nel giornale e anche – perché no – un primo passo verso la sua candidatura a sindaco di Roma. Chissà.