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La sofferenza che non può essere consolata

Andrea, nella canzone di Fabrizio De André, aveva perso un amore in una guerra, e aveva in bocca un dolore, la perla più scura. Mauro Biani, nel progetto “Come una specie di sorriso” disegnò Andrea con la bocca nascosta in un cuscino, perché l’amore “che non osa pronunciare il suo nome” genera un dolore che non può essere condiviso, quindi neppure consolato. Ho pensato a quest’immagine vedendo il video del giovane Marco Alemanno che leggeva “Le rondini” al funerale di Lucio Dalla. Ho visto quella perla scura nella sua bocca, e avrei voluto abbracciarlo, scacciando gli sciacalli che hanno cominciato ad appostarsi intorno a lui, e che lo vogliono “compagno”, “amante”, “amico”, “collaboratore” di Dalla. I paladini dei diritti civili, oggi, infieriscono usando questo “caso” personale per una battaglia politica (nella migliore delle ipotesi) o per guadagnarsi qualche minuto di popolarità (nella peggiore). Ma senza il rispetto dei sentimenti quale “civiltà” pensano di costruire?

Joni e la sua California

Sicuramente sono io a sbagliarmi se il video della sua esibizione ai Brit Award conta più di 99 milioni di visite, ma per me il successo di Adele e della sua “Someone like you” resta un mistero. E così dopo l’ascolto di quel video ho voluto riconciliarmi con la musica e ho cercato questo, che ora condivido. Buon ascolto!

I rimpianti di quando stai per morire

Non è il sesso, non è l’arte, non è l’impresa epica, ma solo l’amore per se stessi e per gli altri. Bell’articolo del The guardian, qui tradotto da Michela Murgia, con un commento di Lidia Capparucci

Sogno N° 1. Peccato!

Non sempre un’orchestra, per quanto buona, per quanto ben diretta, è sufficiente per un buon lavoro. Sogno N° 1, CD dedicato a Fabrizio De André, ad esempio, non mi convince per niente.

Precari per professione

La maggior parte dei precari sono persone meritevoli, che hanno studiato, fatto la gavetta e che continuano a lavorare sottopagati e senza garanzie. Molti hanno accettato condizioni di lavoro inique, o lavori che non avrebbero mai sognato di fare, pur di acquisire – non dico l’indipendenza economica, ché quella oramai è una chimera – ma almeno un livello di realizzazione, di maggiore dignità sociale. Questi sono quelli che chiamo precari e per cui nutro grande ammirazione e rispetto. Lo sono stato anche io per qualche anno, ma in una fase della storia diversa (la fine degli anni ’90), quando a fronte di un po’ di sacrifici avevi almeno la speranza che un giorno ne avresti fatti un po’ meno. Così è stato per me: sono stato fortunato. Ma c’è un’altra categoria di persone che ama fregiarsi del “titolo” di precario: sono ragazzi che non sono affatto vittime del sistema sociale e lavorativo iniquo, ma vittime di se stessi, della loro rigidità, della loro ambizione. Queste persone non hanno mai fatto nulla per sviluppare delle competenze e oggi usurpano il termine, ne acquisiscono il titolo per il solo fatto di non avere un lavoro stabile. Ma nella maggior parte dei casi neanche lo cercano, perché non ne esiste uno disponibile che corrisponda alle loro aspettative. Tra questi ho conosciuto alcuni “politici”, anche giovani, anche di sinistra, che spendono le loro giornate su Facebook per la difesa dei diritti dei lavoratori, degli operai, degli studenti, delle maestranze e dei precari, appunto. Anni buttati in campagne politiche, senza sapere neanche cosa voglia dire avere una sveglia che suona ogni mattina alle 6:30, giorno dopo giorno, anno dopo anno, e avere una vita che passa quasi senza accorgersene. L’aspirazione di questi non lavoratori è rappresentare i lavoratori nelle sedi istituzionali, negli enti locali, nel Parlamento. Li vedi sfrecciare sulle bacheche di Facebook in cerca di visibilità e consenso, sempre pronti a cavalcare l’ultima protesta, fosse anche creata ad hoc sulla base di qualche malevolo equivoco (come l’infelice battuta di Monti sul posto fisso, ad esempio, che in realtà ha un contenuto del tutto opposto a quello che si vuol far passare). Questi non sono precari, sono stabili inquinatori di pensiero, che aspirano a diventare classe dirigente. E hanno ambizione, tempo e – evidentemente – risorse sufficienti per riuscirci. Io li vedo come un grosso pericolo.

Grazie Splinder

La mia avventura nel blog è cominciata nel 2004. Grazie a Jack, che mi ha spronato a utilizzare meglio un diario on line che avevo cominciato a scrivere, ma che poi avevo abbandonato. La piattaforma che ospitava i miei pensieri era Splinder, un gestore gratuito di blog nato in Italia e diventato subito molto popolare. Giorno dopo giorno mi sono appassionato all’idea di condividere i miei pensieri con sconosciuti che approdavano su quelle pagine per caso, o attratti da qualche affinità. Su Splinder ho conosciuto Mauro, Vou, Paola, Pippo, Michela, Roberto, Simone, ho ritrovato Elisa, Daria, Federica, Daniela. Tutte persone con cui il cammino è proseguito, magari su nuovi percorsi umani o professionali. Con Splinder abbiamo promosso la campagna di Tina Anselmi al Quirinale, prima che i social network rendessero così facile portare avanti appelli e petizioni. Per questo mi dispiace, oggi, leggere della sua chiusura, per quanto già annunciata da tempo. Forse la chiusura  era inevitabile, eppure Splinder costituiva un piccolo business (conosco tanti blogger che pagavano il servizio per avere delle funzionalità aggiuntive e ultimamente veicolava anche un po’ di pubblicità). E mi dispiace pure che il business delle suonerie per cellulari (verso cui – si dice- saranno dirottati i suoi server) sia più redditizio. Ecco, con questo post dedicato a Splinder io voglio ringraziare i suoi ideatori, le persone che ci hanno lavorato e augurarmi che un giorno nella nostra civiltà diventi uso impostare il cellulare in modalità silenziosa (o con la vibrazione).

All’Università si lavora senza laurea

Il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Siena cerca un collaboratore per la realizzazione di un “progetto di sviluppo di strumenti di simulazione e virtualizzazione per lo svolgimento di esperimenti nell’ambito dei progetti di ricerca su sistemi multicore e riconfigurabili“. E’ un incarico breve (12 mesi), per un compenso lordo di 1000 euro mensili, per un impegno di circa 10 giorni al mese. Non male. Eppure a fronte della complessità (come si evince dalla scheda del progetto), l’Università non richiede un titolo di studio, ma solo “comprovata esperienza”. Dunque i titoli che la stessa Università produce non attestano niente?

 

Rapporto RSF: Italia maglia nera per l’informazione

E’ stata pubblicata la classifica 2011-2012 della libertà di stampa nel mondo. Ancora una volta l’Italia è uno dei peggiori Paesi occidentali. Perde oltre dieci posizioni e si piazza al 61° posto, tra il Guyana e la Repubblica Centraficana. “All’interno  dell’Unione Europea, – dice il rapporto di RSF –  la classifica riflette una continuazione della già marcata distinzione tra Paesi come la Finlandia e i Paesi Bassi, che hanno sempre ottenuto una valutazione molto positiva, e Paesi come la Bulgaria (80°), la Grecia (70°) e l’Italia (61°) che non sono riusciti ad affrontare la questione delle violazioni delle libertà dei media, soprattutto a causa della mancanza di volontà politica“. “L’Italia, che ha ancora circa una dozzina di  giornalisti sotto protezione, con le dimissioni di Silvio Berlusconi ha da poco voltato pagina dopo molti anni di conflitto d’interesse. Ciò nonostante – continua il rapporto di RSF – il basso posizionamento in classifica porta ancora i segni del vecchio governo, soprattutto per il nuovo tentativo di introdurre una “legge bavaglio” e per l’intenzione di filtrare arbitrariamente i contenuti delle Rete. Entrambe le proposte, in extremis, sono state abbandonate“. Il rapporto è stato stilato, ovviamente, prima dell’approvazione della “SOPA italiana“. Non c’è da essere ottimisti.

A ciascuno la sua SOPA

Il deputato della Lega Nord Giovanni Fava ha fatto approvare un emendamento alla Legge comunitaria che prevede che “qualunque soggetto interessato  (e non più quindi solo l’autorità giudiziaria o amministrativa) possa chiedere a un fornitore di servizi Internet di rimuovere contenuti pubblicati online e ritenuti illeciti dal soggetto richiedente. Una sorta di SOPA all’italiana. Lo scopo dichiarato è quello di contrastare la pirateria ma di fatto, l’effetto è la censura.  Nel caso della SOPA, però, il Congresso americano, sotto la pressione dello “sciopero della rete” di mercoledì scorso, è stato costretto a rinviare la discussione del progetto di legge. Dovremo essere altrettanto bravi a opporci al disegno di “imbavagliamento” della rete, anche qui in Italia. Prepariamoci.

La RAI ai cittadini

Con Move On Italia stiamo lavorando per provare a restituire la RAI ai cittadini. Tra le varie iniziative, oltre ad aver promosso una proposta parlamentare di riforma della RAI, stiamo supportando l’auto-candidatura di Wolfgang Achtner a direttore del TG1. Più che appoggiare la singola persona (che ha un rispettabilissimo curriculum ed è davvero indipendente dai partiti), ci interessa sponsorizzare il metodo di selezione e riportare competenza e indipendenza nei ruoli chiave del Servizio pubblico. Così abbiamo scritto anche al presidente Monti. Questa è la nostra lettera.

Dall’anima al corpo

Mi sono fatto prendere per mano da Susanna Parigi. Mi ha fatto attraversare tutti i luoghi fisici e metafisici del cosmo e mi ha fatto vivere nel sogno etereo, impalpabile della sua voce. Ineffabile.

Lo sapevano

Già lo sapevano. Lo sapevano molti di quelli che hanno appoggiato la campagna per la raccolta firme di questo referendum, lo sapeva anche Di Pietro, che ora blatera. Lo sapeva anche SEL, che non ha voluto sentire i suoi iscritti, lo sapeva anche il gruppo di Facebook che si richiama alla “dignità dei giornalisti” e alla verità dell’informazione (e pure lo ha proposto come “anti porcellum”). Lo sapevano Veltroni, Parisi, Morrone. Lo sapeva Vendola e lo sapeva Civati. Lo sapevano anche la Repubblica e il Corriere, che si sono dimenticati di segnalare l’altra campagna di raccolta firme, quella per il referendum Passigli. Lo sapevano perché lo sapevano, o perché noi glielo avevamo detto. Mentre c’è chi propone una soluzione.

Il demagogico Tonino

Potrebbe essere il protagonista di una nuova striscia di fumetti, oppure solo il personaggio di una rubrica vignettistica, un po’ come “Il tenero Giacomo” della settimana enigmistica. Potrebbe intitolarsi, ad esempio, “Il demagogigo Tonino”.
Oggi il leader dell’Italia dei Valori su Facebook non ci risparmia la pillola giustizialista della giornata: “Ci vogliono 100 Cortina al giorno, se ne fai solo una al giorno non basta.”
Dunque, onorevole Di Pietro, ci vuole uno Stato di polizia? Io credo di no. Forse è sufficiente ristabilire una cultura della legalità. Un controllo periodico, come quello di Cortina ha un grosso valore mediatico, ma non è la soluzione. E poi occorre restituire efficacia ai provvedimenti disciplinari contro l’evasione, se è vero, come riporta l’Espresso, che spesso centinaia di migliaia di riscossioni giacciono nel limbo dei contenziosi tra cittadini e Stato (per un valore di 14 miliardi di euro!)
Gridare ai “10, 100, 1000 Cortina” vuol dire perdere di vista l’obiettivo vero, che non è colpire il commerciante, ma reintrodurre in maniera diffusa un principio di legalità che valga per tutti: professionisti, artigiani, commercianti, artisti.

Tipo dare l’esempio

Sono infastidito dagli interventi di alcuni politici su Facebook. Capita anche a voi? Molti hanno imparato a esprimere opinioni su tutto e più volte durante il giorno in un “messaggio di stato” rilasciano la loro verità sulla patrimoniale, sugli F35, sulla manovra finanziaria, sui costi della politica, secondo la moda del momento. Va bene comunicare, ma a volte “comunicare fa male“, come dice Lindo Ferretti. Soprattutto quando sono solo chiacchiere. Ad esempio – ma è solo un esempio – tutta la schiera di parlamentari che auspica la riduzione delle proprie indennità (e non ci risparmia di ricordarcelo ogni due ore su Facebook e Twitter), prima di ottenere la riforma – che va concordata, scritta, approvata e pubblicata –  può fare personalmente un bell’atto di rinuncia, devolvere la parte dello stipendio che considera eccedente a una Fondazione (magari non presieduta da moglie, amante, figlio, cognato, …) e chiuderla lì (o continuare la battaglia in Parlamento, che mi sembra anche più giusto).  Domani, ad esempio, mi piacerebbe leggere sulla bacheca di Antonio Di Pietro: “E’ ora di farla finita coi privilegi. I deputati e senatori dell’IDV – in attesa che venga approvata una riforma che vada nella stessa direzione – hanno deciso di decurtarsi l’indennità e donare 3.000 euro al mese ciascuno a un Ente o Associazione. Io in particolare devolverò la somma a Slow Music“. Perché nessuno ci pensa? E’ così semplice!

Una Camera dei cittadini (e per sorteggio)

Segnalo un articolo interessante a firma di Michele Ainis, che propone una riforma del Senato che possa diventare una sede di rappresentanza degli “esclusi dal voto”: una “Camera dei cittadini” formata per sorteggio, in modo da riflettere il profilo socio-demografico del Paese. L’idea mi piace molto. Il problema è che a decidere le riforme – a meno di una rivoluzione – sarà sempre la solita élite. In sede di modifica dello Statuto di SEL, ad esempio, abbiamo provato a inserire il sorteggio come modalità di elezione di una piccola parte dei membri degli organi del partito. Ma l’idea non è piaciuta. Chissà perché.