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Stasera l’Italia in maxischermo

These lovesick blues

Lei prende il suo cuore e lo incastra nella porta; lui è solo un burattino ingrovigliato tra i suoi fili. Lei lo tratta come un soldatino e lui fa tutto ciò che il ” generale” ordina.  Lui serve solo a riempire il vuoto che lei a volte sente, e a addolcire i suoi momenti di tristezza. Mentre tutto ciò che lui riesce a fare quando si sente giù è cercare una soluzione in un blues sofferto, un blues d’amore. Il vichingo buono è tornato con un nuovo singolo da un album imperdibile!

Nordgarden – These Lovesick Blues from Riccardo Napoli on Vimeo.

Ristrutturando

Alcuni

Alcuni inseguono tutta la vita
uno scopo – il disegno di un meccanismo
un seme particolare di grano un incrocio di canarini
l’attuazione di un piano la costruzione di una casa.

Alcuni in abitazioni private o in asili
psichiatrici ritentano solitari di carte
o calcoli di moto perpetuo o altre
più improbabili imprese come rivoluzioni.

Essi sono uomini o donne derisi
o tutt’al più gentilmente commiserati
sia perché l’ambizione che li muove si giudica eccessiva
sia perché appare futile l’obiettivo.

Ma io voglio dire che al confronto
non c’è impresa spaziale né invenzione
pari all’attento studio di costoro che sacrificano
alla cosa impossibile ogni raggiungibile piacere.

Essi hanno parenti amici e figli madri e padri
mogli e mariti hanno maestri e direttori di coscienza
che accampano più esperienza
e che li esortano alla quotidiana concretezza.

Essi come ognuno di noi hanno persone e cose
di cui la presenza stessa ha forza più delle parole
e gli argomenti risultano inoppugnabili
quando gli dicono – pensa a quel che fai.

Non c’è dubbio – i persuasori sono nel giusto
perché è senza conforto lo stato di questi ostinati
e agitato è il loro sonno scarsa la salute del corpo
e non hanno alleata la minima probabilità.

Non è il loro coraggio coraggio di giocatore
o rischio calcolato di trafficante
e nemmeno intuito di stratega o di capo politico
o di chirurgo all’unica estrema occasione.

Essi non hanno con sé la tradizione di una fede
anzi tradiscono a volte
sovvertono la morale fomentano il disordine
in se stessi perduti prima di ogni salvezza.

E non possono indicarti il nome di qualcuno
perché non ha fama chi è nella vera ignominia
né superbia di martirio né la gloria di un emblema
ma grazie ad essi ha un senso la specie uomo.

Pensando di loro ti scrivo queste parole
oggi che dirci insieme è dire nessuna speranza
sbarrati da ogni saggezza sbarrati dalla storia
ormai più di passato che di futuro nutribili.

E chiamandoti a un futuro di penuria
io chiedo la tua insania perché la mia abbia forza
perché si possa dire che è una cosa reale
quella che due distinte persone vedono identica.

E tutto questo è ancora poco al confronto
del nulla di chi insegue un solitario ideale.
Essere umani può anche significare rassegnarsi.
Ma essere più umani è persistere a darsi.

(Giovanni Giudici)

Bagarini, siti e ticketone

A tre ore dall’inizio del concerto di Bruce Springsteen mi avvisano che c’è un problema per il mio accredito: il biglietto che mi avevano promesso pare che non esista. Non mi sono perso d’animo e ho cominciato a cercarne uno sul sito ufficiale (ticketone.it). Non avendolo trovato mi sono recato lo stesso allo stadio e – disperato – l’ho comprato lì davanti, da un venditore forse abusivo, forse un “bagarino”. Fatto sta che l’ho comprato allo stesso prezzo di quello proposto dal canale ufficiale di vendita. Per questo, il giorno dopo, la notizia dell’arresto di tre bagarini mi ha colpito molto, soprattutto perché ci sono altre forme di “bagarinaggio” che vengono poco perseguite: sui vari siti internet di annunci, ad esempio, ci sono molti biglietti in vendita. Alcuni possessori del biglietto all’ultimo momento scoprono di non poter partecipare all’evento e lo vendono a prezzo di costo, o anche più basso pur di non perdere tutta la somma che hanno speso. Altri, però, lo maggiorano…e non di poco! Questi navigatori – contrariamente agli ansiosi venditori dei viali – sono bagarini “gentili”, non hanno accento, né sguardi furtivi e cercano persino di camuffare l’illecita attività: “Causa malattia vendo 4 biglietti curva Fiesole” (evidentemente è un’epidemia, più che una malattia). Ho trovato qualcuno di questi annunci anche sull’ottimo sito bakeka.it, ad esempio. Poca roba, comunque, in confronto ad altri siti “professionali”, che si pongono come veri e propri intermediari tra venditori e acquirenti di biglietti, che possono essere venduti senza limiti di prezzo. Provate a visitare www.viagogo.com o www.seatwave.it, ad esempio (ma ce ne sono altri): ci sono persone che attraverso questi siti vendono fino a 15 biglietti ciascuno anche a 10 volte il prezzo normale (12 biglietti per il concerto di Madonna da 57 euro venivano venduti, ad esempio a 600 euro l’uno! Più ovviamente qualche decina d’euro di commissione).

Si parla poco anche del sistema legale, eppure incredibilmente costoso, di vendita di biglietti on line, ticketone.it. Anni fa Beppe Grillo fece emergere l’anomalia, ma senza grandi riscontri da parte dell’opinione pubblica, della magistratura e della politica. Per capire meglio il sistema di ticketone.it è sufficiente provare ad acquistare un biglietto sul sito: il biglietto del concerto di Madonna allo Stadio Artemio Franchi di Firenze, ad esempio, è ancora disponibile. Ci sono ancora i tagliandi da 80 euro, però costano 97,7 euro. Al costo del biglietto, infatti, bisogna aggiungere 12 euro di prevendita e, come se non bastassero, altri altri 5,67 euro di “commissioni di servizio”. Questa ovviamente è la spesa per il ritiro del biglietto “in loco”. Per averlo a casa bisogna pagare altri 10 euro. Senza considerare le spese di spedizione, dunque, l’aggravio del costo è superiore al 21% del prezzo del biglietto (che è una percentuale folle!). Quest’agenzia opera in un regime di posizione dominante sul mercato. L’abuso di tale posizione, secondo il diritto europeo, integra un vero e proprio illecito; ma se determina anche un ostacolo alla fruizione della cultura (come in questo caso) è ancora più spiacevole.

Pubblicato anche su Music In

Il mio terremoto. 23.11.1980

Avevo 8 anni quando c’è stato il terremoto dell’Irpinia. Mi trovavo con la mia sorellina in una macchina parcheggiata accanto al duomo, ero al volante facendo finta di guidare. Nostra madre ci aveva lasciato lì qualche minuto per recuperare un’altra sorella che era rimasta in casa.  All’improvviso sentimmo il boato e tutto cominciò a ballare per attimi lunghissimi. Mi impaurii, perché credevo di aver messo  in moto la macchina, ma mia sorella mi spinse fuori, urlando: “è il terremoto!”.

Il pavimento in pietra della piazza sembrava una giostra fuori controllo, le persone impazzite correvano ad abbracciarsi in grossi gruppi: tutti gridavano, tra lampioni divelti e tetti e cornicioni che crollavano, ma non si riusciva a distinguere alcun suono perché tutto era coperto dal boato. Ricordo mia sorella che spalancava la bocca per dirmi qualcosa e io che le rispondevo urlando, ma per quanto potessi sforzarmi non riuscivo a sentire nemmeno la mia voce. O così mi pareva. Volevo dirle solo “NON VOGLIO MORIREEE”, e forse lei mi diceva la stessa cosa.

Ricordo molte cose. Il cappotto spigato di mia madre che mi soffocava: quando ci aveva raggiunti in piazza ci aveva steso a terra e si era messa sopra di noi per proteggerci da eventuali crolli. Per tanto tempo sono stato in giro per l’Italia presso parenti che a turno si offrivano di ospitarmi. Poi sono rientrato a Vallata, non so esattamente quando. Ho ricominciato ad andare a scuola: un container di lamiera che ci sembrava fighissimo, per il suo pavimento di linoleum (parola nuova e bellissima) pieno di avallamenti, il suo tetto basso e il bagnetto in fondo all’aula, e non in corridoio, come eravamo abituati. E sentivamo i rumori di chi ci andava, e ridevamo. Però il container era terribilmente gelido d’inverno e caldo d’estate.

Dopo un po’ di tempo mi sono ritrovato i nonni in casa, perché la loro era pericolante, o meglio inagibile, come avevo imparato a dire in quei giorni quando coi vecchi si andava a fare il giro delle abitazioni dei vicini per valutare in maniera profana la gravità delle lesioni (altra parola tutta nuova di cui andavo fiero: “papà guarda quella lesiòne!“, indugiando un po’ troppo sulla “o”, forse).

L’hanno ricostruita la casa dei nonni a circa trent’anni dalla sua demolizione. Più brutta e moderna di quella in cui andavamo a pranzare la domenica. Per fortuna, dico io, loro non hanno fatto in tempo a vederla così, con l’intonaco al posto della pietra e il gres porcellanato al posto del pavimento di mattoni; o la cucina, spogliata del camino e della fornace di mattoni bianchi e neri, sostituiti da una fascia di piastrelline di ceramica e una caldaia del gas. Per fortuna – ho sempre pensato – hanno avuto dei figli con una stanza in più. I miei nonni avevano una tempra infallibile, la pazienza, che non ha più nessuno, la fede, che hanno vissuto con una convinzione incrollabile. Sono morti con la speranza di poter vedere la loro vecchia bella casa ricostruita e invece non sanno che non l’hanno neppure lasciata ai figli quella casa. E’ un’altra casa e il mercato non gli dà alcun valore. Il paese è altrove. In un non luogo senza storia e senza futuro.

Nulla torna come prima, dopo un terremoto. Non solo le case. Ma ci sono cose che io ricorderò sempre e che – credo – hanno contribuito a darmi fiducia nell’umanità: i focolari accesi nella notte e che riunivano tutti gli abitanti del quartiere in un clima solidale e confidenziale, come non era mai successo prima. Ci si scambiava le cose da mangiare, le coperte, i giubbini. Le signore con le case agibili preparavano i ciambelloni e venivano a portarli a noi bambini; i mariti coraggiosi entravano in casa all’ora del telegiornale per venirci poi a riferire le ultime notizie. Le storie antiche ascoltate come fossero cartoni animati. I militari distribuivano un cioccolato buonissimo, fondente e senza marca, confezionato con la carta da pacchi e che – secondo alcuni – proveniva dallo spaccio (altra parola nuova), per questo era così buono. Il “sacco a pelo”, novità rivoluzionaria e i piumini. Le zie che mi ospitavano mi coccolavano oltre misura, pensando che in casa ricevevo lo stesso trattamento. E io che glielo lasciavo credere.

Persino le figure istituzionali ci sembravano molto familiari. Le parole sincere di Sandro Pertini rincuoravano tutti, e noi sapevamo di poter contare anche su qualcosa chiamata Stato.

Ma PD e SEL lo capiranno?

“La vecchia politica continua a ricordare quei conservatori americani che negli anni Cinquanta vietavano ai figli il r’n’r perché ritenuto sacrilego. E nel frattempo il rock travolgeva tutto. In tivù si celebrano le “buonistissime” messe laiche che appagano i soliti noti (inamovibili e assai rissosi), ma a molti non bastano più. E i “politici”, da Cicchitto in su (giù è difficile), ritengono che ci si debba sedere tutti attorno a un tavolo: una gran bella idea, anche se appena superata. C’è, nei parlamentari e in gran parte degli editorialisti pensosi (gli stessi che fino a due mesi fa ritenevano il Movimento 5 Stelle un fenomeno folklorico sovversivo), una totale assenza di conoscenza e basi minime per interpretare la realtà. Usano strumenti, e arroganze, degne del cenozoico”

Volevo scrivere qualcosa sulla situazione politica italiana dopo le ultime elezioni, ma Andrea Scanzi racconta il mio pensiero molto meglio di me.

“Diversi. E allora?” – Un laboratorio contro la violenza razzista

Capita sempre più spesso di trovarci di fronte a episodi di apologia del Fascismo e di tentativi più o meno velati di legittimazione di forme di violenza razzista, xenofoba, omofoba, antisemita: dai muri delle nostre periferie, alle pagine di facebook, dalle pubblicità sessiste all’informazione manipolata , siamo sommersi da messaggi che incitano all’odio e alla discriminazione, e spesso persino la politica asseconda questa tendenza. Non possiamo credere, dunque, che i reati di ispirazione razzista e sessista avvenuti in questi ultimi tempi siano da imputare esclusivamente alla responsabilità individuale degli aguzzini.

Quando il 13 dicembre dello scorso anno, ad esempio, a Firenze Gianluca Casseri, militante della destra estrema, ha ucciso Samb Modou e Diop Mor, due ragazzi che avevano l’unica “colpa” di essere africani, l’intero Paese si è fermato, attonito; come se quell’avvenimento ci avesse colpito tutti, a freddo, improvvisamente. E invece episodi simili capitano tutti i giorni, dovunque, anche se non hanno la ribalta della cronaca nazionale. Se non vivete in Toscana è difficile che abbiate letto, ad esempio, di Gabriele, un meccanico etiope, e di Mohamed, un fotografo egiziano, ambedue ridotti in fin di vita perché “negri”, “arabi” e “froci”; sono episodi succesi a dicembre del 2009 a pochi metri dalla casa di Michelangelo Buonarroti. È difficile che abbiate letto dei somali picchiati da uomini appartenenti alle forze dell’ordine, sempre a Firenze, ma in un centro occupato; della ragazza di 22 anni uccisa a Sesto Fiorentino per “motivi passionali”. Addirittura impossibile, invece, che abbiate saputo di fatti che non sfociano in veri e propri crimini, ma sono indicativi di quella deriva culturale razzista, che sembra senza argini; come il caso del cliente della banca che a Siena, allo sportello si è sentito dire dall’impiegato “lei è finocchio, io non la servo”, oppure degli sgomberi dei campi rom da parte delle amministrazioni pubbliche, non assistiti da una soluzione abitativa alternativa. Se tutto questo succede in Toscana, può succedere dovunque. Se accade nel luogo in cui il 30 novembre del 1786 – per la prima volta al mondo – è stata messa al bando la pena di morte, sancendo che i diritti umani sono indisponibili, abbiamo seri motivi di preoccuparci, tutti. (Continued)

Il discanto di Andrea

Nei giorni scorsi a Pisa ho conosciuto il giovane Andrea Cassese, in competizione al Festival Discanto. Mi è piaciuto il suo brano e credo che i premi che ha ricevuto (miglior musica e premio della critica) siano meritati. Ma a me è piaciuto molto anche il testo, anzi forse tutta quella strana alchimia che musica, testo e voce (fragile, ma determinata nel suo obiettivo espressivo) è riuscito a sprigionare: la capacità di farci entrare in un microcosmo interiore indefinito e in un macrocosmo esteriore piuttosto preciso. Una chiacchierata troppo breve per i troppi impegni di quei giorni, ma ve lo presento.

Diversi. E allora?

E’ stata dura, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Così vi presento l’evento a cui ho lavorato duramente in questi mesi.

Il 12 e 13 maggio 2012 a Firenze, partiti, movimenti e associazioni si ritrovano insieme per un grande convegno sul razzismo: “Diversi. E allora?- La politica e la società contro la violenza razzista

Studiosi, artisti, amministratori pubblici e volontari impegnati sui territori analizzano le cause dell’odio xenofobo, omo-transofobico, antisemita, sessista e illustrano gli strumenti culturali e legislativi con cui possiamo fronteggiarlo.

“Diversi. E allora?” è anche un momento di confronto e elaborazione di idee e progetti da mettere a disposizione della società e della politica: otto workshop di approfondimento, per crescere in una cultura antirazzista, laica e egalitaria.

Una gonna blu

Ieri passeggiavo per il centro

e ho visto una sarta piegata sulle caviglie

nello spazio angusto del suo negozio.

Con le mani stirava una piega

di una gonna esposta in vetrina.

So che è piccola cosa,

ma in quelle dita precise

viveva tutto l’amore

per il suo lavoro,

la cura del particolare,

e quella coscienza retrò

di dover stabilire con noi

un rapporto di chiara bellezza.

 

È stato qualche minuto

che avrei ricordato

con un’arte qualsiasi,

foto, canzone, acquerello,

avessi avuto talento.

 

Ho proseguito il cammino

sulla strada di casa.

 

So che è piccola cosa:

quella gonna blu, tagliata con arte,

quella cinta rossa in vita, che crea le pieghe

quella vetrina, arredata con poco,

quella sarta, che non si arrende.

Compassione e giustizia. L’omofobia è un crimine

Ho appena parlato con un mio amico medico che lavora nell’ospedale di Santiago del Cile. Venerdì alle ore 18.00 locali marceranno in Plaza de Armes, a Santiago, per ricordare la vicenda e per fare pressione sull’opinone pubblica e le Istituzioni: Daniel Zamudio, il giovanissimo ragazzo omosessuale torturato da 4 suoi coetanei neonazisti, è arrivato in ospedale già in come cerebrale, una situazione che non è mai migliorata in tre settimane. I 4 fanatici nazisti gli hanno praticato ogni forma di tortura, staccato un orecchio, lo hanno massacrato di botte, hanno inciso svastiche in ogni parte del suo giovane corpo, lo hanno colpito con calci e pugni, pietre, bottiglie rotte, gli hanno bruciato le gambe, sfigurato il volto. Perché era gay. L’accusa per tentato omicidio, per i 4 aguzzini, si trasforma in omicidio, aggravato dalla tortura. In Italia non solo l’omofobia non è un’aggravante, ma non esiste neanche il reato di tortura. Dobbiamo nutrire la compassione, ma ci deve sostenere anche un senso di giustiza, perché anche la legge e la sua applicazione creano un modello di comportamento per la società. Venerdì propongo di organizzare un momento di solidarietà ai ragazzi cileni che si uniranno in corteo in Plaza De Armas, ma invito tutti a partecipare anche all’evento che faremo a Firenze in maggio contro il razzismo e l’omofobia, per approfondire e proporre strumenti per contrastare quest’odio immotivato, quest’odio doloroso.

Chirurgia etica

“La satira di Mauro non prende di mira solo l’uomo di governo, il potente, gli uomini della guerra, la gerarchia ecclesiastica. No, la sua satira è rivolta a noi. Le storie che racconta appartengono a quel mondo invisibile che altrove non gode di rappresentazione, ma che a Mauro è ben noto, frequentandolo. Questo mondo invisibile è popolato soprattutto di personaggi docili, pazienti, buoni. Spesso vittime del mondo visibile, cioè di noi. Ecco allora perché ci spiazza: perché il potente di turno, in questo caso, siamo noi. Siamo noi che accettiamo gli immigrati solo se vengono a lavorare (gratis), siamo noi che abbiamo assecondato l’egoismo più sordo, con tutte le conseguenze politiche e sociali, siamo noi il popolo che applaude al mostro (finché non tocca i nostri interessi), che con un sms salva il ricco “profugo” decadente sull’isola e che con il voto respinge in mare il profugo povero. Ecco, di fronte agli “ultimi tra gli ultimi” disegnati da Mauro, noi siamo “i potenti”. Quelli che Mauro sbeffeggia, pure amorevole, tentando di ottenerne una redenzione.

Quando ho lavorato con lui sul progetto “Come una specie di sorriso” (con cui abbiamo voluto omaggiare Fabrizio De André a dieci anni dalla sua morte), naturalmente ha scelto di interpretare Andrea, Princesa, Bocca di Rosa, Geordie, Miché, Marinella… tutte storie di quel mondo invisibile, a lui così familiare. “La canzone di Marinella” è diventata “Marinella”. La giovane prostituta protagonista del brano, come noto, fu violentata e poi uccisa, e infine trovata cadavere sulla banchina del porto di Genova; ma la cronaca non ha trovato spazio né nella canzone di De André, né nel disegno di Mauro: De André raccontò che Marinella “scivolò nel fiume a primavera”. “Non potendole cambiare la vita – disse De André – le ho cambiato la morte”. Mauro l’ha rappresentata viva, sognante, in una notte blu, appoggiata a un muretto sgretolato. In realtà l’arte – quando è arte – promuove il cambiamento: certo può non riuscire a cambiare nell’immediato la vita della giovane prostituta, ma può incidere sul nostro sguardo. Così possiamo esercitare la compassione, abituarci a solidarizzare con la ragazza sola “senza il ricordo di un dolore”, possiamo ritrovarci nel desiderio bruciante di accostarci a lei su quel muretto sgretolato, posarle il braccio sulle spalle e condividere un po’ quell’orizzonte. Mauro a volte ci fa sorridere, a volte riflettere, a volte ci scuote, ma sempre ci cambia un po’. E non possiamo fare a meno di andare a sbirciare il suo blog, la sua pagina facebook, le sue vignette sui giornali. Perché anche se ci dice che non siamo belli come vorremmo, ogni giorno abbiamo bisogno di uno specchio sincero che ce lo dimostri. E magari ci guidi nella difficile operazione di miglioramento, che per l’anima è un’operazione lunga e complessa.”

Recensione per il catalogo della mostra Contastorie. Satira, sculture e racconti per restare umani (pag. 26 e 27)

Cesare deve morire

Stasera ho visto “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, un film di cui abbiamo cominciato a sentir parlare solo dopo che ha vinto l’Orso d’oro a Berlino, che nel primo fine settimana di proiezione ha incassato appena 88.000 euro e che a tutt’oggi si trova solo in poche sale. Eppure “Cesare deve morire” è un film di una bellezza estrema, sconvolgente. I fratelli Taviani lo costruiscono intorno a una storia vera, quella di un gruppo di detenuti che in carcere prepara e inscena il “Giulio Cesare” di Shakespeare. La vita vera degli attori, in galera per omicidio, spaccio di stupefacenti, associazione mafiosa, si sovrappone a quella di Cassio, Bruto, Cesare, Antonio; il dramma da rappresentare diventa la via di fuga dal loro dramma personale, ma anche l’occasione per riflettere sulla politica, per sperimentare nuovi modi di relazione, incontrare l’arte. Fin qui nulla di nuovo: il cinema che attinge al teatro di Shakespeare ha dei precedenti indimenticabili, come “Nel bel mezzo di un gelido inverno”  di Kenneth Branagh, ma i fratelli Taviani compiono il prodigio di portare sulla scena la verità: l’umanità nuda di attori non professionisti, detenuti, che incantano in quanto a bravura, la realtà di un carcere disumano, che dopo ogni prova di scena chiude in celle anguste l’imperatore Cesare e il grande oratore Antonio. Gli attori commuovono intensamente, per la loro capacità di vivere la bellezza di un’opera, di entusiasmarsi di fronte alla scoperta di sentimenti che riconoscono, ma a cui non avevevano ancora dato un nome, per la capacità di gioire intimamente per il successo della rappresentazione e nello stesso tempo di accettare con grande dignità la loro condizione di emarginati.

Deve pur esistere un altro sistema “rieducativo” alternativo al carcere, che operi in maniera preventiva nella società, in modo che non ci sia proprio più bisogno del carcere. Che crei pari condizioni di accesso alla cultura, al lavoro, all’arte. Perché il film dimostra soprattutto questo: che, come dice Valentino Salvoldi, non esiste criminale che non abbia un sogno che non è volato, un amore che non è stato donato.

Di destra o di sinistra?

Per la pausa pranzo ieri ci stavamo dirigendo in un una trattoria dove si mangia verdura di stagione, cibo genuino cucinato molto bene e con una buona scelta per i vegetariani; i prezzi sono contenuti, il gestore è gentile e ti fa sempre la ricevuta prima che tu la chieda. Il posto è vicino e si può andare a piedi. Ma d’improvviso la mia amica, che è sindacalista, femminista e attiva in un partito di sinistra ha esordito: “non vorrai mica andare lì? Quelli sono di destra. Io i miei soldi a quelli lì non glieli do”. Siccome è femminista, sindacalista e attivista è molto difficile ragionarci, quindi alla fine siamo andati in un locale molto distante (in macchina), gestito da suoi amici: una specie di bar, ma con pretese gastronomiche. La cosa meno dannosa per il mio stomaco (e l’unica che non contenesse carne), è stato un costosissimo carpaccio di pesce spada di bassa qualità, proveniente chissà da quale allevamento baltico. Il banco del bar era sommerso da prodotti della Nestlè e dopo il pagamento non abbiamo ricevuto alcuno scontrino, se non dopo una mia esplicita richiesta. Ovviamente torna in mente Gaber e la sua presa in giro dell’ideologismo.