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Questione di quorum

I miei genitori sono persone semplici, nati e cresciuti in un piccolo paese del sud Italia. Io li ammiro molto, perché hanno “hanno fatto ricca la terra” amandosi, concependo cinque figli e lavorando sempre in maniera onesta e responsabile. Loro hanno contribuito a far crescere questo Paese, sono la Storia che conosco più da vicino. Sono dei democratici. Non nel senso che sta assumendo questa parola, come connotazione elettorale del partito; sono democratici perché credono nella Repubblica e nel potere dei cittadini, credono nel voto e nella giusta informazione da cui quel voto deve scaturire. Non hanno mai militato in un partito, non hanno mai girato salsicce a una festa dell’Unità, non si sono mai candidati a una sfida elettorale, ma tutta la loro vita è stata la lezione di educazione civica più alta che noi figli potessimo apprendere. Oggi sono qui con loro, per uno di quei rari week end lunghi che aspettano con gioia, perché sono anziani, non del tutto autosufficienti e soprattutto perché amano i loro figli e non esiste regalo più bello che gli si possa fare se non spendere del tempo insieme. Ho smesso anche di fargli sorprese: appena so che posso raggiungerli glielo anticipo, così sono contenti da prima. E quando devo ripartire trovano sempre un modo per farmi ritardare la partenza. Questa volta potrei tornarmene a Firenze domenica e stare così un giorno di più insieme con loro, eppure mi hanno detto: “è meglio se parti domani, così poi domenica mattina presto puoi già andare a votare. Per noi non preoccuparti, c’è tua sorella che ci porterà al seggio”. E all’improvviso mi sono ricordato di quando diciottenne andai a votare per la prima volta accompagnato dal monito di mio padre: ”E ricorda: sulla tessera elettorale non dovrà mai mancare neanche un timbro”.

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