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Armiamoci e patite

“L’Italia ripudia la guerra”, ma spende una grande parte del PIL per scopi militari e difensivi. Si parla tanto di rigore, di stipendi miliardari di manager e politici e si sorvola su altri dati relativi alle spese dell’esercito, una “casta militare” forte di ben 600 generali e ammiragli, 2660 colonnelli e decine di migliaia di altri ufficiali. Un rapporto tra “comandanti” e “comandati”molto superiore alla media di altre strutture gerarchizzate, nonostante il numero dei militari italiani sia davvero cospiscuo (190.000 militari professionisti per e un totale di 288.000 militari considerando anche i Carabinieri).

Se mai dovessimo venire attaccati dunque, sarebbe sufficiente richiamare i nostri ragazzi dalle decine di missioni “di pace” in cui sono stati spediti e attrezzarli con un arsenale di tutto rispetto; i recenti acquisti del nostro governo, infatti, prevedono “sistemi d’arma” faraonici, come la portaerei Cavour (un miliardo e 400 milioni di euro), le fregate FREMM (5 miliardi e 680 milioni di euro) o il cacciabombardiere Joint Srike Fighter (13 miliardi di euro). Una lista della spesa che non è stata ridotta neppure in seguito alla crisi economica.

Eppure se proprio dovessimo temere un attacco, molto presumibilmente non verrà da “truppe di terra, di aria o di mare”, bensì – come riferiscono anti giornali stranieri – da giocatori finanziari, disposti a speculare col nostro debito pubblico fino a ridurci sull’orlo del fallimento. È già successo con la Grecia, non è fanta-politica. Tanto vale tentare di ridurre il debito pubblico, allora!

Deve aver pensato questo Angela Merkel, se è vero che la manovra finanziaria tedesca, attesa per domani, conterrà un grosso ridimensionamento delle spese militari: un taglio degli effettivi delle forze armate di 50mila o addirittura 100.000 unità, (portando il numero delle persone in servizio a circa 150.000-200.000 unità), la chiusura di diverse caserme e la rinuncia a progetti ambiziosi, come il sistema antimissile Meads o la terza tranche dei caccia Eurofighters.

Se seguisse le indicazioni che vengono dalla Germania anche il nostro governo potrebbe rinunciare alla terza tranche del programma d’acquiso di 121 caccia Eurofighter (per i quali sono stati già spesi 13 miliardi di euro). Risparmierebbe 5 miliardi. Inoltre potrebbe interrompere la collaborazione per la costruzione di 131 caccia bombardieri F-35, che costa all’Italia 14 miliardi di euro e che l’impegna fino al 2026: oltre a rappresentare una spesa incongrua in un periodo di crisi, rappresenta un’arma impropria, dato che si tratta di un’arma di “offesa” (potrebbe trasportare persino un ordigno nucleare) e non di difesa. Le 10 fregate ‘FREMM’ per la marina militare costano altri 5 miliardi di euro, la commessa per i 100 elicotteri NH90 è di 4 miliardi di euro.

Certo gli impegni di spesa non sono concentrati tutti sul 2010, ma sommando semplicemente queste cifre otterremmo già un risparmio di 28 miliardi di euro, milione più milione meno, che si aggiungerebbero al risparmio ottenuto col ridimensionamento delle strutture militari presenti sul territorio, con la riorganizzazione funzionale dell’esercito e con la cancellazione delle inutili parate militari, degne di un Paese sottosviluppato. Soldi che potrebbero tradursi in buona amministrazione se destinati alla scuola pubblica, alla ricerca, alla cultura, al miglioramento degli ammortizzatori sociali, alla sanità. O semplicemente se fossero destinati alla riduzione del debito pubblico.

Chiedere soldi al lavoratori italiani e sperperarli nel mercato delle armi non è giusto e nemmeno economico, almeno fino a quando non ci dimostreranno che andare a difendere l’interesse di imprese italiane in zone di guerra sia più conveniente che stimolare uno sviluppo equo e virtuoso del sistema produttivo domestico, o che sia più conveniente che difendere l’intero Paese dal fallimento.

Pubblicato anche sul sito nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà

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