I diritti dei lavoratori, quelli che oggi vengono definiti “lacci e lacciuoli che impediscono di stare sul mercato in maniera competitiva”, in realtà demarcano il confine che esiste tra la schiavitù e la libertà. Sono una conquista dell’Umanità, un punto di partenza della civile convivenza. Non è un caso che la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo li ponga come fondamento della dignità umana: una Carta di soli 30 articoli contempla il diritto al riposo, all’associazione sindacale, alla dignità sul lavoro, all’eguaglianza dei trattamenti economici, fino al diritto di ricorrere a un tribunale per la salvaguardia di questi diritti. Chiariamoci: non è la Costituzione catto-comunista tanto odiata dal nostro premier; è una Carta di Diritti, un codice etico, sintesi di un dibattito filosofico sui diritti umani che ha visto impegnati filosofi di varie appartenenze politiche, di ogni epoca e nazione.
Alcuni Stati sottoscrittori di quella Dichiarazione (che non ha valore giuridico, ma impegna moralmente l’agire politico) hanno abolito la schiavitù, costituendo le basi di un progresso sociale ed economico che li ha portati a diventare “grandi” e più influenti nelle scelte della politica internazionale. Altri Paesi no e – anche per questo – oggi risultano molto “competitivi”.
Arriviamo al punto: la proposta di Marchionne agli operai FIAT di Pomigliano pone proprio un problema di scelta politica internazionale, perché – per quante riflessioni vi si possano fare – lancia una provocazione al mondo economico, svelando la stortura di una globalizzazione imperfetta.
L’accordo (che propone una deroga al contratto nazionale di lavoro, riducendo le pause, le ferie, imponendo straordinari, e rendendo – di fatto – impossibile lo sciopero) è un macigno scagliato contro la libertà e non è un problema che la FIOM (unico sindacato di categoria che si è opposto all’accordo) può risolvere da sola: è nato dalla globalizzazione, quindi richiede una soluzione internazionale. Lo ricordano gli stessi operai di Tychy, lo stabilimento FIAT polacco che sarà chiuso nel caso in cui gli operai di Pomigliano dovessero accettare la proposta di Marchionne: “Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro – dichiarano in una bella e accorata lettera spedita ai loro colleghi italiani – Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente”.
E’ una guerra tra deboli, dove a vincere, paradossalmente, sarà il Paese il cui costo del lavoro è il più basso, magari anche perché i diritti dei lavoratori sono negati. Ci sono Stati in cui la manodopera dei bambini costituisce il grande “vantaggio competitivo”, altri in cui le condizioni di lavoro sono così estreme che ai lavoratori è richiesto di firmare un’autocertificazione in cui attestino che non si suicideranno. E’ davvero questo il modello di civiltà che auspichiamo?
In realtà esistono meccanismi di politica interna che possono contenere questo passaggio, perché la riduzione del costo del lavoro nei Paesi più sviluppati non necessariamente deve passare attraverso la riduzione del salario o l’aumento di produttività (e quindi riduzione dei diritti): potrebbe realizzarsi, ad esempio, attraverso una defiscalizzazione del lavoro dipendente. L’esatto contrario di quanto il governo italiano è disposto a fare.
L’accordo che la FIAT propone agli operai di Pomigliano, tuttavia, lascia supporre che sia solo un primo passo di una contrattazione che coinvolge non solo le parti produttive di una nazione, ma l’intero sistema produttivo internazionale. In questi stessi giorni la Whirlpool ha annunciato che chiuderà uno stabilimento nell’Indiana per trasferirlo in Messico. Un’intera città, Evansville, resterà senza lavoro, perché il costo del lavoro nel Messico è di 4 volte inferiore.
Bisogna capire che il “ricatto” della FIAT agli operai di Pomigliano non è colpa di un imprenditore astuto o crudele, né solo di politiche interne miopi, ma di una politica industriale internazionale che ha perso di vista – almeno nel breve periodo – i diritti dell’Uomo, per concentrarsi sul livellamento dei salari, sulla globalizzazione delle cifre. La risposta al problema degli operai di Pomigliano e di Tychy, dunque, è affidata anche alla politica internazionale.
Per questo auspichiamo che nel prossimo G20, in programma per il 26 e 27 giugno in Canada, nell’ambito del tema “Global Trade and Growth”, l’argomento della “liberalizzazione” dei mercati venga affrontato in tutti i suoi aspetti, compreso quello della salvaguardia ed equiparazione dei diritti dei lavoratori, mutuando – ad esempio – modelli di ricerca su standard di lavoro internazionali, come quelli dell’ILO (International Labour Organization).
Nel frattempo i sindacati, tutti i sindacati, custodi dei diritti dei lavoratori, hanno il dovere di cooperare a livello globale anch’essi, per opporsi alla schiavitù. Sono nati per questo, non si capisce, altrimenti, quale sarebbe il loro ruolo.
Anche sul sito nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà


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