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Una vita larga

Tempo fa Valentino Salvoldi, che per anni è stato il mio maestro di vita, mi raccontò che se avesse dovuto scegliere tra una vita lunga e una vita larga, avrebbe scelto la seconda, quasi come se un concetto di spazio e non di tempo ci desse l’esatta misura dell’eternità. Perché?
Ovviamente me lo sono chiesto e continuo a chiedermelo sempre, mantenendo su quella unica e semplice affermazione di Valentino una girandola di risposte che trovano il proprio centro in una consapevolezza: una vita enormemente larga è quella a cui aspiro anche io. Nella ricchezza di quello che riesco a vivere, infatti, riesco a avvicinarmi a quell’obiettivo che incautamente i miei padri mi hanno trasmesso: scoprire il senso della mia vita. E così non desisto mai dal raccogliere quei frammenti di verità e di bellezza che sono nascosti nelle pieghe dell’infinito. A volte è lo sguardo benevolo di un amico, a volte una carezza, a volte è una sofferenza o un dolore che mi sembra insopportabile; a volte è una musica profonda che mi entra nelle vene dai polsi e mi scuote intimamente come un orgasmo, a volte è un sorriso, altre volte il colore dell’autunno nel giardino. A volte è la vicinanza al sentimento di qualcuno che neanche conosco, ma che la sua grandezza mi ha reso così vicino.
Stavo guidando la mia Y con tre amici a bordo. All’improvviso mi sono fermato e sono sceso dalla macchina. C’era un albero in lontananza, immobile, dalla chioma scurissima. E il cielo era di un azzurro compatto. Quell’albero mi gridava la sua presenza nel creato, la sua complice esistenza, la sua voglia di condividere con me la bellezza del cielo verso cui entrambi siamo protesi. “Sbrigati, Animasalva, che cazzo fai? Siamo in ritardo!” “Ma non vedete quell’albero? Non lo vedete? Davvero non vedete quanto è bello quell’albero sotto il cielo?” “Sì, sì è bello, ma ora sali in macchina. Pazzo!” Mi sono scusato con l’albero e sono rientrato tra gli umani.
Mi rendo conto che tutta questo francescanesimo può dare l’esatta immagine di uno completamente senza cervello. Be’, può essere. Ma io mi sento intimamente migliore, intimamente più felice. E quando riesco a differenziare i rifiuti o a non sprecare lo zucchero delle bustine del bar mi sembra di essere solidale al creato. La mia minuscola esistenza diventa enorme.
A volte questa mia soddisfazione deve scontare delle paure. Mi chiedo se qualcuno stia pagando per la mia felicità, così quando sento cuori palpitare dietro occhi smarriti mi chiedo se non sia il caso di condividerla. Qualcuno non ha accettato, anzi l’ha rifiutato. Qualcuno non ha capito, ma ha accettato e stiamo percorrendo un cammino insieme, fatto di incomprensioni e di reciproche scoperte. Qualcuno ha accettato, ha capito e ne è affascinato. Gli amici che frequento e amo sono in queste tre grandi categorie, ma per i primi, è ovvio non nutro grosse speranze. Con gli altri, invece stiamo cercando di allargare le nostre vite. Chissà che di questo passo non arriveremo a scoprire che siamo una cosa sola…Questo post è dedicato a loro.

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