Non è ancora sufficientemente noto o forse non ci è ancora del tutto chiaro l’impatto che Facebook avrà sulla nostra libertà: il social network si appropria di tutti i dati che vi facciamo veicolare e li usa come vuole. Il suo maggior pregio – l’integrazione in un’unica piattaforma di una serie di funzioni – costituisce il pericolo maggiore: la centralizzazione dei dati che affidiamo alla bacheca, agli album, alla chat, alla posta, ai giochi, consegna a un unico gestore (Facebook, appunto) tutta la nostra privacy. Sono dati che Facebook può usare, vendere o elaborare per fini commerciali o politici.
Per scongiurare questo pericolo (e preservare, nel contempo, l’utilità del sistema) alcuni ricercatori americani hanno messo a punto un nuovo social network “distribuito”. Si chiama DIASPORA e attualmente è in fase di test (ma chiunque vi si può iscrivere già in questa fase, contribuendo al suo sviluppo).
Qual è la grande novità di questo nuovo sistema? DIASPORA fa sì che gli utenti scelgano e impostino i server (Pod) che ospitano i propri contenuti. I vari server vengono messi in connessione per fare in modo che condividano le informazioni “sociali”(gli aggiornamenti di status, fotografie e altre informazioni). Dunque DIASPORA ci consente di affidare i nostri dati non ad un unico “hub” (come Facebook), ma a vari archivi (che possono essere ospitati su web host tradizionali, host cloud based o persino il computer di un amico!). Il contesto tecnologico di riferimento di DIASPORA è il free software. Anche le funzioni stesse del programma sono ideate e selezionate attraverso l’esperienza degli utenti che hanno a disposizione una piattaforma di “feedback” per lasciare suggerimenti agli sviluppatori; per fare un esempio Google+ utilizza funzioni che i membri di DIASPORA hanno ideato da tempo, con la differenza che su sul nuovo social network le stesse funzioni sono in sempre in evoluzione, proprio grazie ai continui feedback degli utenti.
In questi giorni, ad esempio, la comunità di DIASPORA sta ragionando sull’opportunità di modificare il nome della funzione “like” (o “mi piace” in italiano). Sembra un dettaglio minimo, ma non è così. Secondo molti (tra cui il sottoscritto) il sistema attuale è funzionale a creare consenso intorno a qualsiasi cosa, ma nello stesso tempo impedisce il dissenso, dunque ostacola la formazione di un “altro” pensiero, di un pensiero critico. Per approvare un messaggio di status, un link, una foto è sufficiente un click del mouse, mentre per esprimere la nostra contrarietà è necessaria (quando consentita) un’azione meno immediata: o scrivere un commento o inviare un report di abuso. Paradossalmente il tasto mi piace viene utilizzato, a volte, anche per approvare la condivisione di un elemento (una notizia, una foto, un messaggio), ma non il suo contenuto: un link postato da un mio amico (che riportava la notizia secondo cui Borghezio approvava l’opera del carnefice norvegese Breivik) ha ricevuto 12 “mi piace” in 10 minuti, da persone a cui ovviamente quella notizia non piaceva affatto!
E’ così che nella comunità DIASPORA è nata l’idea di sostituire il tasto “Like”, con il tasto “Thank you” (in italiano “Grazie”). A me è sembrata un’idea intelligente soprattutto per un motivo: il “grazie” crea una relazione più naturale tra scrittore e lettore, più paritaria, e svuota l’iterazione di quell’elemento narcisistico di cui blog e social network sono troppo impregnati: il “mi piace”, infatti, funziona come un applauso, mentre il “grazie” funziona come riconoscimento di un’attività utile, di un pensiero ben formulato. il “grazie” non contiene alcun giudizio di valore, ma reintroduce una forma di educazione democratica (non apprezzo il tuo pensiero, ma ti ringrazio di darmi l’opportunità di confrontarmici).
Per fare in modo che la proposta venga accettata è necessario che la comunità di sostenitori dell’idea la “sponsorizzi” attraverso l’espressione di un voto. Chiunque può sostenere quest’idea (è sufficiente cliccare du un “+1” nello spazio relativo alla proposta, che è su questa pagina). “Meno me e più gli atri”. Questo è il motto della campagna, alla quale spero vogliate dare il vostro contributo.
E se avete qualche minuto vi invito ad ascoltare un bellissimo brano di Susanna Parigi che in maniera “letteraria” racconta quanto è stato (e può essere pericoloso) il consenso sbrigativo. Si intitola “L’applauso” ed è contenuto nell’album “L’insulto delle parole“.
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