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Cos’è la rivoluzione?

Volevo riflettere sul senso di SEL partendo da una parola. La parola è “rivoluzione”.

E’ una parola che è rimbalzata spesso in alcuni interventi che hanno illustrato il clima attuale caratterizzato da forti “sommovimenti sociali” (pensiamo al movimento degli studenti, o alla “resistenza” degli operai della FIOM) e dalle dinamiche che potrebbe aprire Wikileaks nella diplomazia internazionale, per fare due esempi.

Ebbene la parola rivoluzione la sto sentendo spesso anche al di fuori di questo consesso! In uno dei suoi ultimi interventi televisivi (ora molto diffusi, per via della sua recente scomparsa) Mario Monicelli racconta che di fronte a questa realtà l’unica speranza è “una rivoluzione”. Qualche giorno fa anche lo scrittore Alfonso Casella diceva che stiamo vivendo in un periodo rivoluzionario (citava Moravia, il quale a sua volta ricordava che chi la vive, spesso non sa che sta facendo una rivoluzione: combatte, prende posizioni innovative o scomode per il sistema, protesta in maniera decisa, ma poi sono gli storici – anni dopo – a dare un nome a quell’agire collettivo e identificarlo come “rivoluzione”. I giacobini, insomma, non sapevano che avrebbero dato luogo alla “rivoluzione francese”, pur facendola). E ho pensato al nome del nostro Partito: Sinistra Ecologia e Libertà. Tre parole che opportunamente contestualizzate ricordano proprio quelle tre parole simbolo della rivoluzione francese: Egalitè, Fraternitè, Libertè.

Egalitè (uguaglianza) l’ho sempre considerata il cuore della parola “Sinistra“, una smania che – contrariamente al pensiero dominante – vorrebbe addirittura che il figlio dell’operaio possa aspirare a fare il medico e viceversa. Ma è nell’articolo 3 della nostra Costituzione che trova una definizione precisa. A volte penso che basterebbe attuare quell’articolo!

Fraternitè (fratellanza), un principio che i repubblicani affermavano come la necessità di “non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi stessi”. Un principio di responsabilità verso il prossimo, basato su una comunanza di destino. Quella stessa responsabilità che oggi ampliamo nei confronti di tutto l’ambiente (o “creato” per chi crede in un Dio) e che ci fa “ecologisti“.  

Libertè (Libertà) ovvero l’emancipazione dalla schiavitù, dalla monarchia, dalla sudditanza e anche l’applicazione del principio del laissez faire (lasciar fare) nell’economia, ma soprattutto il passaggio da uno Stato di favori a uno Stato di diritti. Dio sa se ne ha bisogno l’Italia.

Ecco, ho pensato che nel nostro nome è contenuto un grande programma politico, che ci vuole rivoluzionari di questo tempo, anche se a nostra insaputa (come dice Moravia). Ma noi siamo davvero capaci di farci interpreti di questo sentimento diffuso “rivoluzionario”? Certo Nichi ci è riuscito in parte, in Puglia: ha sparigliato i giochi, ha mandato all’aria il tavolo con le carte, ha riaperto la partita. Ma noi, dico, siamo davvero capaci di essere rivoluzionari?

Essere rivoluzionari oggi non vuol dire essere giacobini pronti alla lotta armata, ma vuol dire riappropriarsi di quelle tre parole, sinistra, ecologia e libertà e affermarle nella società e nella politica. Tutte e tre. Non solo una. Vuol dire, ad esempio, smetterla di considerare il partito un trampolino per le proprie carriere personali, e restituirgli il compito originale che gli ha affidato la Costituzione, ovvero quello di porsi come ponte tra la società e la politica. SEL nasce per colmare questo divario gigantesco, questa frattura enorme. Per questo è nuovo, per questo è rivoluzionario. Un partito “fluido”, a “rete”; non è un caso che al Congresso fondativo hanno partecipato – come delegati – esponenti di Slow food, Legambiente, Arci, Libera e altre associazioni. E’ per questo che i primi nomi fatti da Nichi come esempi di politici modello non provengono dai partiti. Perchè non è che l’Italia migliore si trovi necessariamente tra le file di Rifondazione, dei Verdi o del PD. L’Italia migliore vive in una rete di persone disinteressate e competenti, che si mettono al servizio del bene comune e da cui i militanti di un Partito nuovo dovrebbero prendere esempio. Non è un caso che alla crescente disaffezione per la politica corrisponda un aumento del numero di cittadini che prestano servizio di volontariato o prestano la loro opera in contesti sociali e culturali di vario tipo. Il Partito che abbiamo in testa, noi di SEL, o almeno alcuni, è un Partito aperto e plurale, come cita il suo manifesto. E laico. Una laicità che non si applica solo ai principi religiosi, ma a ogni ideologia. Ricordiamoci quello che ha detto Nichi al Congresso, che siamo tutti portatori di verità parziali. Tutti. Compresa quell’intellighenzia che con l’alibi del bene comune si preserva come piccolo ceto, esclude, si comprime e fatalmente perde rappresentatività e consensi. Non è una profezia, è una statistica storica, esprimibile persino in serie.  Diventiamo forza politica senza diventare pensiero unico. Una forza politica che si faccia interprete di questi sentimenti rivoluzionari. Niente violenza, solo la capacità di applicare la democrazia e la partecipazione effettiva delle persone per bene. Questa sarebbe una grande rivoluzione. Noi sapremo farcene interpreti?

Appunti per un intervento all’Assemblea Federale di SEL Firenze – Nicola Cirillo

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