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Prometei vinti

Giorni, giorni, giorni

giorni senza nome.

Notte senza fine

trafitta da voli di pianto

E sempre qualcuno mi chiama.

Colpi ritmati sui tubi

non voglio sentirli

in galera! Non li voglio sentire!

Un blindo rinchiude

quattro sconosciuti in un pozzo

con la mia malinconia

e la mia solitudine.

Un un colpo duro, secco

una mazzata che pianta l’anima

nel fondo. Per una vita

da braccianti…

Fabbrica della disperazione:

uomini soli, silenziosi a mano

rifabbricano la speranza

che ogni sera muore.

Alla memoria tornano brevi

figure, voci, rimpianti, non altro.

Siamo come Prometei vinti

incatenati, inutili.

(Gabriele Cagliari – “Prigione 1” marzo 1993)

A San Vittore, Gabriele Cagliari, imputato nel processo di Mani Pulite, leggeva Quasimodo e affidava a questi versi la misura della sua disperazione. Il mito di Prometeo è anche il simbolo dell’impotenza umana di fronte al volere di Dio. La prigione a cui allude Gabriele Cagliari è quella materiale in cui si ritrova costretto a seguito delle sue vicende giudiziarie, ma sembra che qui rappresenti, in generale, la condizione dell’umana fatica.

Conservo questa poesia dal 1993; finì pubblicata sul settimanale Panorama (quando si poteva sfogliare) e non credo che ne esista una copia sul web.

E’ un post triste questo. Ma la morte del più dolce dei miei colleghi, avvenuta sabato, mi ha svuotato intimamente. Vorrei mettere indietro il nastro in cui sono presenti i fotogrammi del mio incontro con lui e recitare la mia parte con tutta la sincerità possibile, senza nascondergli le mie fragilità e le mie debolezze, liberandomi di tutta la sovrastruttura sociale che condiziona i rapporti tra noi uomini. E dirgli semplicemente “ti voglio bene”, così…nel caso non glielo avessi mai saputo dimostrare.

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