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Nessuno tocchi il Formicoso

La scorsa notte sono stato a Pero Spaccone, sull’altipiano del Formicoso, in Irpinia. Ho assistito a uno spettacolo fantastico: migliaia di persone radunate per applaudire Vinicio Capossela e per far sentire la propria voce contro l’apertura dell’ennesima discarica in provincia di Avellino.
Mi rendo conto che è necessaria una premessa. E’ proprio necessaria, se non conoscete i recenti provvedimenti governativi che riguardano la zona. Per risolvere definitivamente il problema dei rifiuti in Campania il governo ha individuato 10 aree in cui costruire delle discariche. Una di queste è appunto “Pero Spaccone”, una superficie di 141 ettari sull’altipiano del Formicoso. Caratteristiche del territorio scelto: 1000 metri di altitudine, eccellente esposizione al vento (è la zona più ventosa d’Europa, tanto che vi si è insediato il parco eolico più grande d’Europa), destinazione agricola (che è valsa ad alcune aziende riconoscimenti internazionali per la qualità del cibo, del latte e dei formaggi prodotti), presenza di falde acquifere direttamente collegate ai fiumi Ofanto e Ufita che irrigano chilometri quadrati di terre, e vicinanza (soli 900 metri) al torrente Sarda, che confluisce nel lago di Conza (Oasi WWF). Quest’elenco di per sè basterebbe a dissuadere ogni amministratore di buon senso a utilizzare l’area come sito per la conservazione dei rifiuti (tossici). Basterebbero queste ragioni, certo, tuttavia si deve aggiungere che Pero Spaccone si trova nel territorio del Comune di Andretta e confina con comuni definiti tutti “ricicloni” (riconoscimento che Legambiente assegna solo ai comuni virtuosi che si distinguono per l’alto tasso di raccolta differenziata prodotta). Non solo: l’Irpinia ha già fornito due mega discariche alla causa partenopea: una, a poche decine di chilometri dal Formicoso, a Savignano Irpino, raccoglie ben 700mila quintali di rifiuti (mentre Pero Spaccone sarebbe destinata a raccoglierne addirittura 3 milioni!).
Eppure pare che tutte queste ragioni non siano sufficienti a far cambiare idea al Governo. Forse sono necessari dei camorristi che fomentino la popolazione locale (per interessi privati), forse c’è bisogno delle telecamere di Gianni Riotta e Clemente Mimum che li riprendano, forse c’è bisogno di nuove elezioni e nuove promesse elettorali.
Ma gli irpini non sono abituati a questi mezzi. Sanno difendere il poco che hanno con il grande senso civico e con la forte determinazione: alle bande di criminali – da sempre assenti in questi luoghi – hanno opposto bande musicali, e la manifestazione contro la discarica si è trasformata in un happening musicale a cui hanno contribuito eccellenti artisti, per un concerto che è cominciato alle 17:00 di ieri ed è terminato all’alba di oggi.
Io sono arrivato abbastanza tardi. Non è stato facile trovare il luogo del concerto: nessuna indicazione reperibile su internet, nessun cartello per le strade. Ho cominciato a fidarmi delle macchine che mi sorpassavano per la strada, insolitamente trafficata, e ne ho seguita una piena di ragazzi. Tra le colline di grano del Formicoso, a un tratto, dalla cresta di un colle mi ha sorpreso una fila chilometrica di macchine in cerca di un parcheggio. Non riuscivo a credere ai miei occhi: un evento così scarsamente pubblicizzato aveva richiamato migliaia di persone. Nessuna illuminazione, solo centinaia di occhi rossi nell’aria: spie delle pale eoliche, i grossi fari del vento. Ho parcheggiato a pochi kilometri da quello che sembrava l’ingresso. Non era l’ingresso, era solo “uno” dei tanti ingressi tentati per accorciare la distanza. Ancora una volta mi sono fidato di alcune sagome di persone che mi precedevano: abbiamo scalato una collina su cui era stato appena mietuto il grano, poi discesa un’altra appena arata, un’altra ancora, nel buio totale e nel silenzio, come soldati di frontiera che preparano un agguato, o forse come formiche lavoratrici. Sopra di noi gigantesche pale eoliche tagliavano il vento e davano il ritmo alla nostra camminata. Finalmente siamo arrivati a quella che doveva essere la strada principale, dove centinaia di ragazzi  seguivano il flusso che conduceva al palco. Primi suoni, primi odori di wurstel arrostito, prime luci. Ed ecco Pero Spaccone: una spianata di kilometri quadrati piena di gente; impossibile rintracciare gli amici, segnale del cellulare assente, un vento sferzante e fresco. Il palco illuminato catalizzava l’attenzione di tutti, rubando la scena alla luna gigante e alle stelle, qui libere di splendere. “Nessuno tocchi il Formicoso”, lo striscione al lato del palco, parlava a una moltitudine di giovani, ma non ai grandi big, ai politici che contano, assenti ingiustificati.

Il popolo del Formicoso non perde la speranza: sa che è stato chiamato a difendere il suo territorio, sa che la guerra è cominciata e che la prima bomba l’ha scagliata proprio il Governo “perché la firma su quel decreto è una bomba che distrugge il nostro presente e uccide i nostri figli”. Il popolo si infiamma quando i politici ricordano il passato, la storia, le tradizioni di quei comuni: luoghi di cultura contadina, carichi di misteri e di speranze tradite. Un popolo semplice e orgoglioso, reso più unito e solidale dal dramma del terremoto dell’80, determinato a difende i ricordi, la terra, la casa, il lavoro umile e faticoso dei campi, che rende queste aspre colline così dolci. Gli anziani stasera restano a casa: le donne forti, matrone e madri amorevoli, e gli uomini dalla pelle dura e dal cuore tenero dormono nei loro letti di noce. Per una volta sono i figli a difendere la terra ed è uno spettacolo che commuove: nelle ragazze freak che si difendono dal vento ti sembra quasi di scorgere quegli scialli stretti sulle spalle delle nostre nonne. Siamo tanti, difficile contarsi. Migliaia, decine di migliaia, ovunque mi giri ci sono ragazzi irpini che accompagnano lo spettacolo con cori, battitti di mani, salti. Stiamo calpestando un terreno che da secoli viene chiamato “granaio d’Italia”. Mi chiedo cosa stiano pensando in quel microcosmo sotto i miei piedi i mille esseri della natura che non conosciamo. Ho quasi il timore di spezzare le stoppie, ammazzare gli insetti. Vorrei evitargli il boato della musica, il terremoto causato dai nostri piedi: non crederebbero che siamo lì per difendere anche loro. C’è Caterina Potrandolfo sul palco: esegue due canti popolari con la sua voce intensa, senza accompagnamento. Cosa dice la De Sio: “Il folk è il rock dei poveri“? Ecco poi Benito, cantore locale, emozionato ottantenne, e poi la Banda di Calitri. Cresce l’attesa per Vinicio Capossela che compare solo a mezzanotte. Istrionico, ironico cantautore, la sua voce da sola è uno schiaffo ruvido al cinico torpore della burocrazia. Ma vi aggiunge parole d’amore, racconti favolistici, sensi stupefacenti. Canta, recita, balla, richiama il passato di queste terra, e ce lo mostra così carico di cristallina bellezza che ti ci potresti perdere; si prende beffe dei potenti con la sua aria da emigrante, il suo accento impastato di vino e di fumo (come quando al termine di Marajà spazza a terra, creando un’allusione fin troppo facile).
Incantatore di stelle, Vinicio Capossela, suona coi musicisti e poeti locali, regalando anche a loro l’applauso  di un pubblico da stadio. Nominato “santo protettore del Formicoso” non si concede pausa: arriverebbe fino all’alba se non dovesse lasciare la scena agli amici Tammurriati del Vesuvio. La gente sgocciola via prima che arrivi il sole a sciupare l’incantesimo. Chi resta viene premiato con un’alba orgogliosa. La natura timidamente riprende il suo ritmo. Le stelle chiudono le porte, il sole sorride grato dietro un colle e non si nasconde, gli insetti contano i danni. Solo il vento non cessa il suo andirivieni e le pale lo accompagnano fedeli. Ora bisogna ricordarsi solo dov’è la macchina: il paesaggio è tutto nuovo, ma ricordo una casetta minuscola che di notte sembrava disegnata e invece esiste davvero e mi indica la direzione.

Proprio come formiche operose, sì. Ecco come siamo arrivati qui a portare il nostro granello di cibo. Che duri tutto l’inverno. Che si possa continuare a portarlo ogni anno. Un festival, non una discarica. Gli altri insetti capiranno.

(le foto sono di verderosa http://comunitaprovvisoria.wordpress.com)

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