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In bianco e nero

Il resoconto delle mie giornate al Festival della Filosofia lo farò domani, ora è tardi e devo raccontarvi un’altra storia. Ero un bambino timido e magro, con grandi occhi neri. Indossavo una maglia a strisce orizzontali e dei pantaloni corti. Non so dirvi il colore, perché era tutto in bianco e nero. Fabrizio De André fumava seduto su una poltrona del mio salone e discuteva animatamente con altri uomini; alcuni avevano i baffi, alcuni camicie aderenti con colletti larghissimi. Io ero lì immobile, che cercavo di ascoltare i discorsi dei grandi, ma il mio unico desiderio era di stare con Fabrizio. Così ho preso coraggio e appena lui si è voltato a guardarmi glielo’ho chiesto: “Posso sedermi con te?”. Lui ha sorriso per un secondo e ha allungato il braccio verso di me come per dirmi: “Certo, vieni qui”. Mi sono seduto accanto a lui. Fabrizio ha poggiato l’arco del suo braccio sulle mie spalle strette, ma sovrabbondava, tanto che la sua mano riusciva persino a prendere la mia e stringerla. La discussione intanto proseguiva. Lui fumava e parlava, con un’autorità diversa da quella di tutti gli altri; non so spiegare perché, ma si percepiva. Io continuavo a non capire nulla di quello che dicevano, ma stare accanto a lui mi riempiva di sicurezza: era tutto ciò di cui avevo realmente bisogno. All’alba ho sognato questi fotogrammi di cui non posseggo gli originali. Ci ho pensato tutto il giorno e non ne sono venuto a capo, ma mi suscita una profonda tenerezza l’immagine di quel bambino così sincero e di quel padre così amorevole.

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