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Introduzione

Anime salve è un disco il cui significato deriva dall’etimologia delle due parole: vuol dire “spiriti solitari”. È un elogio della solitudine. Mi rendo conto che non tutte le persone possono stare da sole. I vecchi, gli ammalati, i politici; il politico, da solo, è un politico fottuto. Però credo che, per chi se lo può permettere, sia meglio vivere il più possibile appartati, perché si ha più accordo con il circostante, e il circostante non è fatto soltanto di nostri simili; è fatto di alberi, di colli, di mari… Accordandosi con il circostante si ha anche la possibilità di impararsi meglio, di conoscersi meglio e, conoscendosi meglio, si riesce più facilmente a risolvere i propri problemi e, forse, anche quelli degli altri. Ora, sono l’ultima persona a poter dare un consiglio a qualcuno, me ne vergognerei. Però dico che il più possibile si vive da soli, meglio si vive: prima di tutto, non si fa del male a nessuno; in secondo luogo, difficilmente te ne fanno. Quello che veramente mi fa paura sono le aggregazioni, le consociazioni: è al loro interno che nascono i germi delle violenze, perché le aggregazioni si danno delle regole, per rispettare le quali creano le polizie; i capi fanno sì che le altre associazioni non possano interferire; si creano così gli eserciti. A partire dalla bocciofila, tanto per dire, per passare al Lions Club e arrivare fino allo stato. Questo ho sempre pensato. Non vuole essere un elogio della solitudine in senso assoluto, dell’anacoretismo. Sono il primo a dire che ho molti bisogni da espletare e lo faccio, di solito, attraverso il contatto con i miei simili. Sono bisogni di carattere spirituale, economico, sessuale, culturale. Dopo, tutto sommato, è meglio tornarsene a vivere in contemplazione di se stessi. Questo ho imparato e lo trasmetto anche a voi.” Fabrizio De André

Io avevo delle parole da dire a tutti. È nato così il mio blog: pensieri da confrontare, sentimenti da condividere e un linguaggio da controllare.

Ho scelto quel titolo (Io ero molto più ubriaco di voi) perché mi descrive bene e a distanza di tre anni è ancora il più bello dei titoli presenti in tutta la blogosfera (se ne trovi uno ugualmente bello, me lo segnali?). Il nick name è spiegato dalla citazione.

Ho scelto la forma anonima per sentirmi più libero di scrivere: della mia famiglia, dei miei amici, dei personaggi che percorrono la mia strada, evitando che qualcuno potesse riconoscersi e sentirsi “offeso”, “giudicato” o comunque oggetto di osservazione. Ma il mondo, anche quello virtuale, è un piccolo paese. Alcune volte nei “refers” che tracciano le visite al sito trovavo intere mie frasi inserite virgolettate nel motore di ricerca: frasi estrapolate da email che avevo spedito a degli amici e che magari nel frattempo erano diventati anche post. Così ho deciso di rivelare la mia identità di blogger a due amici intimi, che aspettavano solo la conferma.

A volte “i pixel prendono corpo“, come dice Vou: con qualche blogger ho approfondito la conoscenza, ci siamo presentati, abbiamo trascorso qualche serata insieme e anche lì, naturalmente, ho tolto ogni maschera

Periodicamente mi arrivano messaggi personali del tipo: “Siamo capitate sul tuo blog per caso e col tempo abbiamo avuto conferma che fossi proprio tu..”, “Quando ti leggo riconosco lo stile di un mio amico…“, “Credo di sapere chi tu sia, ci siamo conosciuti due anni fa….”, e cose del genere. Da una parte mi conforta sapere di essere così riconoscibile: vuol dire che la sincerità di queste parole non è del tutto compromessa né dalla vanità, né dalla ricerca di stile. D’altra parte mi preoccupa un po’ sapere che l’anonimato è a rischio; così finora ho cancellato ogni commento che riportava il mio nome in “vocativo”. Chiedo scusa a tutti quei commentatori: non succederà più. Mi sono accorto che chi mi riconosce per lo stile, per i contenuti o anche solo per il nome, non ha nulla da temere dal mio blog, nè io da loro. Per tutti gli altri, in attesa di presentarmi dal vivo, sono ancora un’anonima salva.

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