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Democratico

La proprietaria della mia casa di studente viveva di rendita. Aveva 4 appartamenti in affitto e non era quasi mai in città; quando la chiamavi al telefono, la domestica ti rispondeva con nomi di città che tu non avevi mai visitato: Parigi, Cortina, St. Moritz, Instanbul, Buones Aires, Lisbona, New York. Noi la vedevamo solo quando veniva a ritirare l’affitto; ingolfata tra metri quadri di buste da shopping, si sedeva giusto il tempo di accavallare le gambe, chiederci con cortesia “tutto bene?“, riscuotere e aggiornare l’agendina con la parola “pagato”. A nero, ovviamente.

Io pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti“. Pensavo che lei in paese non comprava più un abito da anni per mantenere noi figli all’università e che a Cortina non ci sarebbe mai andata. La diseguaglianza sociale io la misuravo anche così e mi addolorava l’idea che una donna del sud lavorasse (risparmiando e pagando le tasse) per vestire con fiori freschi un’ereditiera nullafacente ed evasore.

Le letture degli “Atti degli apostoli” mi facevano riflettere: perché, pensavo, non mettiamo in pratica queste regole così semplici e naturali? Le fonti francescane mi confrontavano con un modo alternativo di vita, comunque possibile. Ermanno Olmi mi mostrava sotto forma di favola i valori del sacrifico, del perdono, della pietà. Leggendo i suoi diari mi ero innamorato di Che Guevara, mi ritrovavo nella sua smania di verità e di giustizia, guardavo il mondo coi suoi stessi occhi, e questa vicinanza mi commuoveva; mi identificavo con i personaggi di Nanni Moretti, ossessionati e incapaci di salvare se stessi, figuriamoci il mondo. I libri di Federico Moccia allora non c’erano, e ci toccava leggere Primo Levi, Pasolini, Calvino. Per colpa loro io non mi sono mai sentito 3 metri sopra il cielo, ma sempre con lo sguardo all’altezza di altri sguardi.

La sinistra italiana non riusciva a farsi interprete delle mie istanze politiche. Esisteva un partito comunista, del tutto inadeguato a gestire la politica, con una base ancorata a nostalgie rivoluzionarie e un gran fascino per la nomenclatura. Non sapevo dare un nome al mio disagio, per una semplice ragione: ero diessino, ma non esisteva ancora il PDS. La svolta della bolognina per me, quindi, fu più che una risposta: il giorno che vidi Occhetto in televisione mettere a repentaglio la sua messa in piega per la commozione, io mi sentii meno solo. Capii che potevo partecipare, che il mio piccolo patrimonio di valori poteva produrre interessi e decisi di investirlo nel PDS, iscrivendomi e svolgendo una certa attività.

Non è vero che la nascita di un partito nuovo segna la fine dell’ideologia. Io straripo di ideologia, ma avverto la necessità che questa si affermi in maniera democratica. Bisogna lottare per affermare le proprie idee, non per imporle. In questo è il senso della parola “democratico”.

 

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