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Riforme? Cominciamo dall’Auditel, intervista a Roberta Gisotti

Nel nostro Paese l’Auditel è l’unico sistema di rilevamento degli ascolti televisivi. In realtà registra con sicurezza solo il numero degli apparecchi accesi, non fornisce una stima credibile di quanti guardano la TV e tanto meno dei programmi che vengono visti. Ad esempio, basta guardare 15 secondi di un programma – più o meno il tempo di capire che non ci piace – e, per il sistema, diventiamo immediatamente “contatto”, ovvero pubblico di quel programma!

Eppure da 24 anni l’Auditel opera in regime di monopolio, in barba alle leggi sulla concorrenza e sul mercato, ed è determinante per le scelte editoriali delle reti televisive e per la spartizione degli investimenti pubblicitari (circa 4 miliardi e mezzo di euro all’anno) tra le reti stesse.

Per questo motivo Roberta Gisotti, giornalista esperta di media, Lorella Zanardo e Cesare Cantù, (autori del documentario “Il corpo delle donne”) si sono fatti promotori di una campagna per la riforma dell’Auditel, lanciata domenica 11 aprile a Firenze, nel corso del Festival “Italiani brava gente”. Abbiamo incontrato Roberta Gisotti, autrice del libro “La favola dell’Auditel”, che ha raccontato a SEL i modi con cui porteranno avanti questa battaglia, che è soprattutto una battaglia per la democrazia.

Roberta, perché bisogna riformare l’Auditel?

Sono tanti i motivi. L’Auditel non va bene perché si serve di un campione che non è rappresentativo della popolazione italiana, non va bene perché applica una tecnologia obsoleta e assolutamente inadeguata allo scenario televisivo italiano attuale, non va bene perché si affida a comportamenti umani soggetti a mille variabili che invalidano il rilevamento. Questo in particolare è stato svelato da diverse famiglie-campione, che hanno ammesso di non aver mai svolto con regolarità il ruolo.

Inoltre l’Istat dice che il campione stesso rappresenta solo il 10% della popolazione italiana, perché su 10 famiglie che vengono contattate per far parte del campione, solo una accetta. Secondo le scienze statistiche, dunque, quel campione può rappresentare solo il 10% della popolazione. Quale sistema rappresenta il 90% che non viene preso in considerazione? In più questo campione è rimasto segreto, negando la possibilità di fare risconti oggettivi. Se pensiamo che tutto il sistema è legato a un numero piccolissimo di famiglie, ci rendiamo conto di quanto sia inadeguato. Soprattutto oggi l’Auditel appare come un patto insostenibile, una convenzione per spartire la torta degli investimenti pubblicitari. Quello che vogliamo è un sistema di rilevamento che raccolga il gradimento, le attese e le scelte reali della popolazione italiana.

Quindi se diciamo: “ieri sera il programma X è stato visto da 7 milioni di spettatori” basandoci sulle stime Auditel, diciamo una cosa scientificamente falsa?

Si, l’unica cosa che può registrare con certezza l’Auditel è che ci siano apparecchi accesi, ma non abbiamo nessun riscontro oggettivo di quante siano le persone che guardano un programma. Inoltre l’Istat ha riscontrato limiti tecnici per cui spesso i canali sintonizzati vengono confusi, sovrapposti dal sistema Auditel, per cui è impossibile dire se si stava vedendo Canale 5 piuttosto che RaiUno o LA7.

Ma l’Auditel viene comunque utilizzato per distribuire gli investimenti pubblicitari?

Sì, viene utilizzato per spartire la torta degli investimenti. Per convenzione degli associati all’Auditel – che sono i controllori di se stessi – può essere usato solo il dato Auditel e nessun altro riferimento. Quindi l’Auditel opera in un regime di monopolio imposto.

Viene utilizzato anche per fare scelte editoriali?

Purtroppo le scelte editoriali sono conformate totalmente al dato Auditel ed è questo il motivo per cui abbiamo una televisione sempre più involuta, che tende a ripetere e riproporre ciò che ha avuto successo secondo il dato Auditel. Assurdo, se pensi che il sistema di rilevamento dell’Auditel rileva l’ascolto minuto per minuto; se non si resta sintonizzati un minuto, si arrotondano i 30 secondi al minuto, e se non si resta sintonizzati nemmeno trenta secondi si scelgono per convenzione i 15 secondi a cavallo dei 30 secondi come “scelta” dello spettatore. Questo sistema ha fatto sì che lo scopo editoriale sia stato soggetto a profondi cambiamenti. Oggi lo scopo è catturare l’attenzione almeno per 15-30 secondi, piuttosto che interessare davvero lo spettatore. Per questo abbiamo una televisione che tende a suscitare delle emozioni forti, attraverso contenuti, immagini o audio, che shockino. Ecco il successo del turpiloquio, dell’insulto, della TV gridata, trasgressiva, di un’informazione ansiogena. Ecco l’abuso delle immagini femminili, per cui la donna è tornata ad essere quasi esclusivamente un oggetto del desiderio sessuale.

Quindi se ho capito bene, io, anzi la famiglia campione, guarda il Grande Fratello per 15 secondi, si accorge che è un programma orribile, si sente offeso e gira canale al sedicesimo secondo… ma, grazie al sistema Auditel, viene considerato spettatore di quel programma?

Esattamente. Costituisce un “contatto”. L’insieme di questi contatti, per convenzione, diventano milioni di spettatori. Noi che ragioniamo per categorie umane, quando sentiamo parlare di questi “milioni di persone” crediamo che si tratti di tanti individui seduti davanti allo schermo, invece sono solo la sommatoria di tutti i contatti, così ottenuti, e trasformati in numeri.

Parlavi di informazione ansiogena. Ma l’Auditel viene applicato anche ai TG?

Certo. Purtroppo sempre di più il giornalismo si è conformato alla ricerca dell’audience. Questo è gravissimo, perché per tanti motivi accertati l’Auditel non è un sistema credibile. Ma poi, anche se fosse credibile, non si dovrebbe applicare all’informazione, perché lede la deontologia professionale! Mi spiego: non posso dare una notizia solo perché devo attirare l’attenzione dello spettatore, perché mi fa salire l’ascolto. La notizia va data secondo criteri di utilità sociale. Sappiamo che oggi i direttori dei Tg, i capiredattori responsabili della messa in onda compongono la scaletta dei servizi preoccupandosi dell’audience. Sappiamo, perché ce lo hanno raccontato gli stessi giornalisti, che sono condizionati, perfino pressati a volte ad iniziare o finire i loro servizi con contenuti finalizzati all’audience.

Ma questo sistema va bene ai pubblicitari e alle reti Rai e Mediaset?

Sì. Questo è un sistema che ha blindato il duopolio televisivo e in qualche modo anche il bipolarismo politico. Ma bisognerebbe invece accontentare i cittadini!

Per questo la politica non è mai intervenuta in questi 25 anni?

Già. Perché gli interessi economici che sono veicolati attraverso gli investimenti pubblicitari che confluiscono nei due soggetti del duopolio, hanno largamente beneficiato sia la destra sia la sinistra. A riprova di ciò, i governi di centrodestra e di centrosinistra che si sono alternati non hanno mai voluto mettere mano ad una riforma di Auditel, tante volte invocata. Non solo! Non hanno mai voluto rendere pubblici i dati IQS, ne’ attivare altri sistemi i rilevamento qualitativo previsti nei contratti di servizio della Rai

Cos’è l’IQS?

Dal 1997 al 2007 abbiamo avuto un sistema di rilevamento qualitativo chiamato IQS, che ha avuto un campione superiore a quello dell’Auditel. Ebbene in quei 10 anni, nonostante la Rai si accollasse un onere ingente per tenere in piedi l’IQS, i dati non sono mai stati mai resi pubblici. Perché? Perché collidevano con quelli dell’Auditel!

Ci sono alternative tecniche?

Certo che ci sono. Sono una giornalista e non un tecnico della comunicazione ma posso riferire che le alternative c’erano già nel passato. E tanto più oggi, la TV digitale permette un rilevamento diretto, anche senza campione. Tra l’altro si può sfruttare l’interattività della TV digitale, che oltre alla quantità di spettatori può essere d’ausilio per indicare anche il gradimento del programma. Sono già in commercio questi apparecchi che possono dare un feedback diretto. Quindi bisogna puntare ad avere dati quantitativi affidabili insieme a dati di riscontro qualitativo: qualità percepita e qualità attesa dagli spettatori.

Questa riforma dell’Auditel allora è una lotta democratica!

Riformare l’Auditel vuol dire restituire la TV ai cittadini. Sappiamo quanto è importante per un Paese una TV pluralista, non sotto il controllo di pochi gruppi di potere, ma al servizio di tutti i cittadini.

Come porterete avanti questa campagna?

Questa campagna nel passato ha avuto vari livelli di impegno, che si sono scontrati con una resistenza ostinata della classe politica, anche di fronte ai rapporti redatti dalle Autorità garanti (sia del Mercato che delle Comunicazioni), che chiedevano al Parlamento di dotare il sistema televisivo italiano di strumenti di rilevamento più credibili, trasparenti e pluralisti nella governance e affidabili sul piano tecnico.

Perché la rilanciate ora?

Per due nuovi fattori positivi che ci aiutano a sostenerla: innanzitutto il mutamento radicale dello scenario televisivo per il passaggio al digitale. Già oggi nelle regioni passate al digitale abbiamo una quarantina di canali nazionali. Solo la Rai da 3 è passata a 12 canali. È impensabile mantenere, dunque, il vecchio sistema. L’altro elemento è dato dal fatto che oggi possiamo contare su internet per far conoscere quest’ingiustizia che tutti subiamo. Abbiamo un sito che è http://www.riforma-auditel.it/ e una pagina su Facebook, con cui speriamo di coinvolgere molte persone. Non è una lotta per la destra o la sinistra, è una lotta per la verità, per tutti i cittadini e per il progresso di questo Paese. Perché questa TV ci ha fatto arretrare e non progredire.

Pubblicato anche sul sito nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà

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