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Confini

Confini

A un certo punto persino "Isoradio" si perde nel fruscio, tante sono le emittenti che ne usurpano le frequenze. Preferisco spegnere, tanto tra un po’ lascerò l’autostrada.
All’uscita del casello già ci sono le prime costruzioni di questo strano piano urbanistico. Sono edifici isolati di tre, quattro piani. Si caratterizzano per essere completati solo in parte: di solito sono rifiniti solo i primi due livelli. Il pian terreno il più delle volte è adibito a garage e ha un soffitto molto alto per consentire la rimessa di camion, trattori, cisterne o, meglio, per poter essere affittato a negozi e banche; il primo piano è curato nei dettagli e il contrasto col resto della costruzione può farlo apparire persino kitsch; ospita la famiglia che l’ha costruito. Il secondo piano ha le divisioni perimetrali interne, ma non è intonacato e non ha gli infissi esterni; il terzo piano è uno scheletro di pilastri che regge o il tetto, oppure il pavimento di un ulteriore piano che forse un giorno sarà costruito. Lo stile potrebbe far pensare a una nostalgia neogotica, un progressivo alleggerimento delle superfici mentre si procede in direzione verticale, un’elevazione simbolica verso il cielo che richiede una crescente liberazione dal materiale, ma non è così: questi palazzi sono costruiti con l’ambizione di ospitare, un giorno, l’intera famiglia allargata. Un giorno, appunto, non subito: quando i figli si sposeranno e si riprodurranno in serie, fino a rifinire ogni singolo angolo dell’edificio. Se questi figli saranno mai concepiti, se mai si sposeranno, se mai decideranno di vivere qui.
Manifesti mortuari tappezzano muri, avvolgono i pali della luce, si sovrappongono alla facce dei cantanti e dei politici. 
Le strade cominciano a perdere definizione; le cunette svaniscono, i marciapiedi sono tratteggiati da cordoli di cemento messi lì da qualche anno, all’inaugurazione di un cantiere. Buste di spazzatura, anche differenziata, sono ammucchiate negli angoli.
Sono passati decenni, ma tutto è sempre uguale. Mi dico: "cambierà". Ma il tempo non può farcela da solo. Leggo il cartello di "Benvenuto" e so che non c’è nessuna rassegnata ironia. Forse solo un invito a restare.

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