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Non perdonare

Ieri sono tornato a casa a piedi, lentamente, cercando di digerire una brutta notizia: la morte di una cara collega di mia madre. Ma al dolore si aggiunge la rabbia e un sospetto: è la quarta persona amica che scompare per tumore nel giro di due mesi. Vivevano tutte nel mio piccolo paese, dove a decine si stanno ammalando. Non è un caso, ne sono sicuro. Deve esserci qualche segreto terribile che è stato nascosto nel sottosuolo da quelle parti, oppure è l’effetto del ripetitore dell’operatore telefonico installato una quindicina d’anni fa sul campanile, o chissà che. Come si fa a scoprirlo?
E camminando per le strade di Firenze sono stato circondato da varie forme di solitudine: ho visto sotto l’albero del viale un vecchietto solo che cuoceva una salsiccia su un fornellino da campeggio, dando le spalle alla strada. E poi una ragazza, la stessa che è stata sorpresa a bucarsi in pieno centro dalle telecamere del corriere, mi ha fermato per sorridermi con dolcezza e chiedermi 50 centesimi.
Esiste una sofferenza causata dall’uomo, è evidente. Tutto ciò che possiamo fare è vivere tentando di rimediare un po’, o almeno facendo attenzione a non cagionare ulteriori danni. E pregare – in qualunque modo riusciamo a farlo – perché pregando entriamo in relazione con la nostra essenza più pura, fortifichiamo lo spirito. Eppure da ieri tra me e me ripeto solo una maledizione: “Signore, non perdonare mai quelli che sanno il male che fanno”.

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